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Armani: «Nel piano Iren un miliardo all’anno per la transizione green»

Corriere della Sera

Armani: «Nel piano Iren un miliardo all’anno per la transizione green»

di Sergio Bocconi

«Con il nuovo piano industriale a dieci anni che presenteremo in novembre ci prepariamo a diventare una macchina da investimenti, che cresceranno fino al 40%. Siamo e saremo sempre di più un protagonista e una risorsa del Paese nella transizione ecologica». Gianni Vittorio Armani è da fine maggio amministratore delegato di Iren, la quarta multi-utility italiana per capitalizzazione di Borsa, con circa 4 miliardi di ricavi e che ha come soci principali i comuni di Genova, Torino, Reggio Emilia e di altre città emiliane e liguri. Lui, ingegnere che ha esordito professionalmente nella consulenza, proviene da A2A dov’è stato direttore strategia contribuendo all’impostazione del business plan. In precedenza ha guidato Anas, Terna rete Italia, e ha lavorato in Grtn fino alla fusione con Terna. È quindi un top manager con una lunga esperienza nei settori nei quali opera il gruppo di cui ha preso il timone.

È “usuale” un piano strategico a dieci anni?

«No, i nostri in genere avevano durata quinquennale e in alcune aziende del settore sono triennali. Il nuovo piano ha un orizzonte decisamente più lungo, che si confronta con i grandi progetti di trasformazione del Paese, come il Pnrr. Per dare un contributo e programmare le infrastrutture è necessaria una visione di lungo periodo. Come azienda e come collettività».

Quali sono gli obiettivi?

«Con il nuovo piano Iren convoglierà ancora più risorse negli investimenti e nella crescita. E questo penso sia importante in particolare adesso, in uscita dalla crisi che la pandemia ha aggravato ma che sicuramente il Paese si porta dietro da un po’ di anni, con scarsità di investimenti e crescente necessità di infrastrutture che favoriscano le attività produttive, lo sviluppo e l’efficienza delle nostre città. Iren può avere un ruolo importante, in particolare nei territori in cui è presente e molto radicata in termini di servizi ai cittadini: il nostro bacino, con 7 milioni di abitanti, rappresenta il 15% del Paese. Il tutto lavorando su due pilastri fondamentali: la decarbonizzazione e l’alta qualità dei nostri servizi verso i clienti e i cittadini».

Di quanto cresceranno gli investimenti?

«L’attuale piano industriale prevede in media investimenti pari a 700 milioni l’anno, con una punta di 800 nel 2021. Aumenteranno a oltre un miliardo all’anno, concentrati soprattutto laddove si può dare una mano maggiore a essere più efficienti. Nei nostri territori, che possono estendersi ulteriormente per prossimità, siamo presenti in modo diffuso e bilanciato nei business a rete, che significa gas, acqua, elettricità e teleriscaldamento, e nell’ambiente. Possiamo dunque contribuire alla transizione ecologica che non vuol dire solo rinnovabili, dove vantiamo una significativa presenza nell’idroelettrico, ma anche maggiore attenzione al consumo delle risorse, all’uso dell’energia, dell’acqua e alla circolarità».

Cosa significa nel vostro caso circolarità?

«Abbiamo un forte know how nella raccolta differenziata, con percentuali che in alcune nostre città superano l’80%, e nel riciclo completo del rifiuto. Transizione energetica e circolarità sono elementi per noi fondanti ed è difficile tracciare un confine nel dire cosa sono l’una e l’altra nelle nostre attività. Sulla raccolta e trattamento della plastica siamo leader, abbiamo un brevetto per il riciclo della frazione residua, il cosiddetto plasmix, come per esempio le plastiche degli involucri alimentari: noi la selezioniamo e la trasformiamo in “pastiglie” che vengono utilizzate per produrre asfalto, con meno bitume, o come agente riducente nella produzione dell’acciaio, al posto del polverino di carbone che ha un maggior impatto ambientale. Stiamo parlando di acciaio green, strategico per l’Europa. Tutto ciò significa ricerca, impiantistica e grande capacità ingegneristica. Inauguriamo il mese prossimo un nuovo impianto vicino a Udine».

In questi dieci anni di piano cosa diventerà Iren?

«Sotto il profilo dell’azionariato la nostra governance è complessa ma offre anche opportunità. Abbiamo un gruppo di soci che lavorano bene insieme, nonostante i colori politici diversi, e che sono stati in grado di accogliere altri comuni. Questo ci consente di guardare a ipotesi di aggregazione territoriale per prossimità in modo positivo, soprattutto pensando a utility locali che non hanno ancora una struttura industriale. Cresceremo con assunzioni e nuovi ingressi, anche a livello manageriale».

E consolidamenti, per esempio con A2A o Acea?

«Ritengo improbabili altri “matrimoni” fra le cosiddette “big four”. Ci possono però essere grandi opportunità di collaborazione. L’Italia ha di fronte a sé sfide molto importanti, con un debito di programmazione nei confronti della crescita del Sud. Un progetto Paese che guardi allo sviluppo del Sud in termini di reti e infrastrutture, gestione dell’acqua o dei rifiuti, può vedere la collaborazione delle multi-utility del Nord. Così come nella transizione energetica. Ancora di più, insieme, possiamo essere una risorsa per il Paese».

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