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Gli scarti dell’economia circolare pesano 38,6 mln di ton, il doppio di tutta la differenziata

Oltre un quarto dei rifiuti speciali sono “rifiuti da rifiuti”

Testa (Assoambiente): «Dato su cui riflettere per impostare la nostra strategia di economia circolare»

Di Luca Aterini

Si possono “azzerare” i rifiuti? Una risposta indiretta quanto efficace è arrivata dall’ultimo rapporto rifiuti speciali, aggiornato come ogni anno dall’Ispra, che andando oltre l’angusto perimetro dei rifiuti urbani mostra qual è davvero la coda dell’economia circolare: anche le “attività di trattamento dei rifiuti e di risanamento” generano inevitabilmente altri rifiuti da gestire – almeno 38,6 milioni di tonnellate nel 2019 – perché non si sfugge alla II legge della termodinamica e di certo non può farlo l’industria, per quanto verde sia.

Come sottolinea oggi Chicco Testa, presidente di Fise Assoambiente, «oltre un quarto dei rifiuti speciali sono “rifiuti da rifiuti”, per oltre 38,6 milioni di tonnellate, cioè scarti prodotti dalle attività di recupero e smaltimento e dalle attività di bonifica e risanamento ambientale. A questi vanno aggiunti i rifiuti del trattamento delle acque». Complessivamente si arriva appunto poco sotto le 40 mln di ton: si tratta di un ammontare che supera l’intera produzione annuale di rifiuti urbani (30 mln di ton nel 2020) ed è più del doppio di tutta la differenziata raccolta nel corso dell’ultimo anno (18,5 mln di ton).

E a questi 38,6 milioni «vanno aggiunti i rifiuti del trattamento delle acque. Dopo quelli da costruzione e demolizione, i “rifiuti da rifiuti” sono il principale flusso di rifiuti nazionale. Un dato su cui riflettere per impostare la nostra strategia di economia circolare», che non a caso abbisogna di impianti dedicati lungo tutta la gerarchia di gestione rifiuti (riuso, riciclo, recupero energetico, smaltimento) per chiudere il cerchio.

Impianti che però non sono presenti a sufficienza in Italia, e che soprattutto sono distribuiti in modo molto disomogeneo lungo lo Stivale, incentivando il turismo dei rifiuti: di impianti se ne conta infatti «circa 6.000 per il recupero di materia, 81 gli inceneritori e circa 300 le discariche (di cui 142 per soli rifiuti inerti), 173 gli impianti di compostaggio e digestione anaerobica. Nella sola Lombardia viene smaltito il 26% del totale rifiuti speciali italiani. Uno squilibrio territoriale nord-sud ancora molto forte», conferma Testa.

Squilibri che peraltro incidono in profondità sulla capacità italiana di gestire in toto gli scarti che produciamo ogni giorno, e che infatti finiscono sempre più spesso all’estero: «Rimaniamo un polo industriale europeo del riciclo con oltre due terzi dei rifiuti speciali che vanno ad operazioni di recupero. Ottima notizia, ma ci sono segnali di fragilità del sistema – argomenta Testa – L’export registra un aumento del 13,4% rispetto al 2018 e circa il 25% è diretto verso recupero energetico e discariche. Aumenta, anche se di poco, la discarica e gli stoccaggi assorbono l’11% del totale dei rifiuti. Un valore che segnala la difficoltà del sistema dei trattamenti finali nell’assorbire il flusso».

C’è almeno da poter immaginare che, migliorando sempre più la nostra sensibilità ambientale e gli investimenti in economia circolare, questi rifiuti potranno diminuire? Solo in parte in realtà, mentre altre frazioni di rifiuti anzi aumenteranno – dagli scarti del riciclo a quelli della depurazione – proprio a testimoniare il maggiore impegno: ad esempio «la produzione di fanghi da depurazione civile aumenta di circa 280.000 tonnellate rispetto al 2018, segno che i processi di depurazione si stanno diffondendo ancora. Ma la maggior parte dei fanghi viene ancora oggi avviato a smaltimento e non a recupero. Vedremo l’anno prossimo – conclude Testa – gli effetti della pandemia sulla produzione dei rifiuti e come il sistema italiano ha affrontato la crisi economica conseguente. Restiamo un distretto del riciclo importante a livello globale, ma per affrontare le sfide del prossimo decennio occorrerà prestare attenzione ai segnali di criticità che il Rapporto indica con chiarezza».

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