Piano nazionale di gestione rifiuti, ambientalisti e zero waste uniti contro gli inceneritori

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Piano nazionale di gestione rifiuti, ambientalisti e zero waste uniti contro gli inceneritori

Greenreport

Piano nazionale di gestione rifiuti, ambientalisti e zero waste uniti contro gli inceneritori

«Il Pngr deve essere invece un’occasione per ridefinire le strategie nazionali, individuando le azioni necessarie di riduzione del rifiuto urbano residuo». Che intanto non sappiamo come gestire

Gli ambientalisti di Greenpeace, Kyoto club, Legambiente e Wwf hanno siglato, insieme agli esponenti di Zero waste Italy, le osservazioni alla proposta di Piano nazionale di gestione dei rifiuti (Pngr), attualmente in fase di Valutazione ambientale strategica (Vas) e consultazione pubblica.

Si tratta di una valutazione «positiva nel suo insieme», sia nel merito, perché «mette in evidenza le determinanti principali della ulteriore evoluzione del sistema delle raccolte differenziate e del recupero di materia», sia nel metodo, in quanto «intende essere un Piano “di indirizzo” alle pianificazioni regionali, e non di “imposizione di scelte e dimensionamenti” (il che era il principale vulnus dello Sblocca Italia)».

La critica maggiore nella presa di posizione comune delle associazioni riguarda invece le criticità nelle previsioni di gestione del rifiuto urbano residuo (rur): «Nella Proposta di Piano troppo spazio viene lasciato all’incenerimento e in tale senso, si arriva addirittura a raccomandare l’incenerimento del rur senza pretrattamenti, “allo scopo di massimizzarne il recupero energetico”», mentre «le scelte europee di escludere l’incenerimento dei rifiuti dalla tassonomia e l’imminente (al più tardi dal 2028) eliminazione dell’esenzione degli inceneritori dallo schema Ets che renderanno ancona meno conveniente dal punto di vista economico la scelta di bruciarli».

Sotto questo profilo le associazioni ritengono invece che il Pngr debba essere invece «un’occasione per ridefinire le strategie nazionali, individuando le azioni necessarie di riduzione e di minimizzazione del Rur, con un confronto con i territori, con le Regioni, affinché si possa puntare a obiettivi più ambiziosi di quelli minimi definiti nelle Direttive», comunque sfidanti dato il contesto nazionale ed europeo, pur limitati ai rifiuti urbani: 65% di riciclo effettivo e smaltimento in discarica non oltre il 10%, al 2035.

Duole notare però che ancora una volta non si delineano alternative precise alla termovalorizzazione o alla discarica, per la gestione del rur che pure rimane; paradossalmente, pur di affossare gli inceneritori, sembra che si preferiscano le discariche come male minore da sopportare, ad esempio quando le associazioni affermano che «l’adozione di sistemi di trattamento biologico per il pretrattamento del rifiuto residuo consente di minimizzare il potenziale metanigeno del rifiuto collocato a discarica, rilasciando solo CO2 biogena (dunque climaticamente neutra) mentre evita la massima emissione di CO2 fossile come invece avviene nel corso dell’incenerimento».

Nella ricerca delle alternative, non si va molto oltre la stringente necessità di «lavorare sulla minimizzazione del rur», un obiettivo sacrosanto – e prioritario – che si persegue però nelle catene produttive a monte della generazione del rifiuto, e non quando dobbiamo scegliere in quali impianti collocare i rifiuti già prodotti.

Sulla pressante necessità di un intervento a monte, in termini di prevenzione del rifiuto, è intervenuta nei giorni scorsi la stessa Agenzia europea dell’ambiente (Eea), mostrando che negli ultimi 5 anni i rur generati in Europa si siano stabilizzati attorno alle 113 mln ton/anno, una quota che secondo gli obiettivi Ue dovrebbe dimezzarsi al 2030.

Il problema è che continuando a produrre rifiuti a questo ritmo il target resta irraggiungibile. Per traguardarlo dovremmo riciclare almeno il 72% dei nostri rifiuti (oggi l’Italia è ferma al 48,4%, l’Ue al 47,8%) entro 8 anni, un risultato improbabile: «Tassi di riciclaggio così elevati sono senza precedenti e richiederebbero – spiega l’Eea – un miglioramento significativo dei sistemi di raccolta differenziata e delle infrastrutture di riciclaggio, sostenuto da una riprogettazione diffusa dei prodotti per renderli più riciclabili. I “frutti bassi” del riciclo sono già stati raccolti, quindi è probabile che un tale aumento del riciclaggio richieda investimenti considerevoli, e potrebbe portare a un riciclaggio di bassa qualità».

Secondo la Eea, l’alternativa per dimezzare la quota del rur sta nel riciclare almeno il 60% dei nostri rifiuti urbani, e contestualmente tagliare di un terzo la generazione di rifiuti urbani totali.

Un compito ciclopico, che ci possiamo e dobbiamo prefiggere, ma a valle del quale resterà comunque una frazione di rur da mettere in discarica o da bruciare. Una terza via più sostenibile rispetto ad entrambe queste opzioni ci sarebbe: il riciclo chimico, cui le associazioni che hanno valutato il Pngr lasciano aperto uno spiraglio non condannandolo tra le tecnologie da bocciare, ma sul quale comunque non si soffermano in alcun modo.

Un silenzio che non giova a garantire alternative concretamente praticabili, da subito, in uno scenario nazionale caratterizzato dal continuo prodursi di sindromi Nimby & Nimto che frenano la realizzazione degli impianti.

Come sottolinea da ultimo la relazione della Corte dei conti sul “settore rifiuti alla prova del Pnrr” –  in cui la Corte peraltro non disdegna affatto il ricorso all’incenerimento per la gestione del rur –, ad oggi è grande «l’impellenza di accrescere la consapevolezza collettiva relativamente alla necessità di realizzare anche gli impianti di trattamento, riciclo e recupero energetico, così da offrire un’adeguata valorizzazione ai rifiuti e traguardare la chiusura del ciclo di gestione degli stessi. Un processo di maturazione sociale che dovrà abbracciare anche il comparto energetico, affinché la transizione ecologica ed energetica possano avvenire sinergicamente nei prossimi anni. Al riguardo, non ha aiutato l’enfasi eccessiva riposta sul raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata nella comunicazione istituzionale, anche a livello di pianificazione regionale. Giova, infatti, sottolineare come la fase della raccolta non esaurisce affatto il ciclo della gestione dei rifiuti, di cui costituisce un elemento certamente decisivo all’interno della catena del valore, ma unicamente propedeutico al successivo trattamento nelle diverse forme di riciclo e recupero energetico. Detto in altri termini, raccogliere i rifiuti in maniera differenziata è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per una gestione efficiente ed efficace. Si rendono, altresì, necessarie soluzioni impiantistiche per il trattamento finale, nell’ottica di superare gli attuali sbilanci».

L. A.

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