Anche nei Comuni “virtuosi” il 10% della raccolta differenziata è da buttare di nuovo

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Anche nei Comuni “virtuosi” il 10% della raccolta differenziata è da buttare di nuovo

Greenreport

Anche nei Comuni “virtuosi” il 10% della raccolta differenziata è da buttare di nuovo

Anche dove la raccolta differenziata arriva a superare l’85% sono presenti scarti che non possono essere avviati a riciclo, ma che dobbiamo comunque gestire

Di Luca Aterini

Il Green city network e il Conai – il Consorzio nazionale imballaggi – hanno presentato i primi risultati di un’Indagine sull’economia circolare e la gestione dei rifiuti urbani, a partire dall’area più virtuosa in termini di raccolta differenziata: quella del nord Italia.

Si tratta di un’indagine che ha coinvolto i Comuni del nord con buone performance di raccolta differenziata: in totale sono stati invitate 117 Amministrazioni, ma hanno risposto in 32, tutte con risultati eccezionali dal punto di vista quantitativo. Tanto che anche nel 2020 la raccolta differenziata ha mantenuto dei buoni livelli, nonostante la pandemia: i dati e le previsioni di raccolta per il 2020 sono superiori all’81% per oltre la metà degli intervistati, con il 31% dei Comuni che stima di arrivare sopra all’85% di raccolta differenziata. Sostanzialmente «i Comuni “virtuosi” del nord registrano le più alte raccolte differenziate d’Italia», sottolinea l’indagine.

Ma anche in questi casi ci sono scarti che non possono essere valorizzati tramite il riciclo. Ecco perché anche la qualità della raccolta differenziata è un parametro estremamente importante per garantire che i rifiuti raccolti separatamente entrino nella filiera industriale del riciclo.

Spesso però la qualità della raccolta differenziata è bassa, e insieme ai rifiuti differenziati, si raccolgono scarti non recuperabili, come dimostra in primis un’analisi di Ispra pubblicata nel Rapporto rifiuti urbani 2020, e condotta sui rifiuti intercettati attraverso la raccolta multimateriale. Anche l’indagine condotta da Green city network e Conai parte da questi dati.

I quantitativi di rifiuti urbani complessivamente intercettati attraverso raccolte multimateriale di vario tipo in Italia sono quasi 2 milioni di tonnellate, e l’Ispra documenta (nel 2019) una percentuale di scarti pari al 14,6%.

La scelta del segmento di raccolta differenziata analizzato non è casuale: a livello nazionale gli scarti si concentrano principalmente nella raccolta multimateriale di plastica, ed è quindi su questa frazione merceologica che occorre concentrare gli sforzi per migliorarne la qualità e, di conseguenza, il tasso di riciclo.

Allargando comunque il discorso agli scarti complessivi della raccolta differenziata, è possibile avere una stima di questo dato confrontando il tasso di raccolta differenziata con il tasso di riciclo calcolato da Ispra (seguendo le disposizioni della Decisione di esecuzione 2019/1004/UE del 7 giugno 2019).

La differenza tra il tasso di differenziata e quello di riciclo – ricorda l’indagine – è infatti una stima di massima degli scarti: insieme ai rifiuti differenziati si raccolgono rifiuti non riciclabili o erroneamente conferiti, contabilizzati nel tasso di raccolta differenziata ma poi di fatto avviati a forme di recupero energetico o smaltimento, e quindi non computati nel tasso di riciclo.

Di conseguenza, considerando il tasso nazionale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani nel 2019 pari al 61,3% e il tasso di riciclo calcolato da Ispra per lo stesso anno al 46,9%, emerge che gli scarti delle raccolte differenziate nel 2019 erano di circa 14,4%. Dunque, il 14,4% della raccolta differenziata è da buttare di nuovo.

La stima ottenuta tramite questi parametri, peraltro, non è la peggiore. Utilitalia, ovvero la Federazione che riunisce le aziende attive nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas, dichiara ad esempio che «circa il 20% dei rifiuti delle raccolte differenziate (un dato in linea con quello rilevato ad esempio in Toscana, ndr) sono scarti la maggior parte dei quali (quasi il 90%) recuperabili come energia e per poco più del 10% da smaltire in discarica».

Circoscrivendo l’analisi ai Comuni “virtuosi”, oggetto dell’indagine, le percentuali calano ma non si azzerano. «I Comuni del nostro campione nazionale rilevano una percentuale di scarti media inferiore al 10%, dato confermato anche dalle risposte dei soli Comuni del nord – si legge nel report – Questo attesta che i Comuni “virtuosi” complessivamente riescono ad avere raccolte differenziate di qualità che sono però ancora migliorabili soprattutto nell’intercettazione della plastica».

Relativamente alle singole frazioni merceologiche, i Comuni del campione del nord riescono ad avere raccolte differenziate di qualità per la carta e il cartone e per il legno, per i quali non si registrano scarti superiori al 10%, nonché per la frazione organica, per la quale solo il 6% dei rispondenti rileva scarti compresi tra 10 e 20%. Non mancano comunque picchi più rilevanti: nei Capoluoghi si ha ad esempio il 22% di rispondenti che ha scarti inferiori al 10%, ma il 4% dichiara impurità comprese tra il 10 e il 20%, e il 7% scarti che si collocano tra il 20 e il 30% della raccolta differenziata.

Che si fa con questi scarti? Si valorizzano energeticamente tramite la termovalorizzazione oppure si gettano in discarica, a seconda della dotazione impiantistica disponibile. La stessa dotazione, peraltro, che deve essere chiamata in causa quando ci troviamo a gestire anche gli scarti non ulteriormente riciclabili che – come da ogni processo industriale – esitano anche dalle operazioni di riciclo o risanamento ambientale: non a caso la composizione dell’export di rifiuti speciali italiani per il 64% è costituta da “rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti” e “impianti di trattamento delle acque reflue”, gli scarti appunto dell’economia circolare che preferiamo non vedere e affidare ad altri Paesi, profumatamente pagati per gestirli al posto nostro.

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