Cementieri, perché puntare sui rifiuti come combustibili

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Cementieri, perché puntare sui rifiuti come combustibili

Corriere della Sera

Callieri (Federbeton)

Cementieri, perché puntare sui rifiuti come combustibili

Alessia Conzonato

L’industria del cemento, oltre a rappresentare l’asse portante della filiera delle costruzioni, è anche uno dei settori più energivori. Secondo i dati elaborati da Federbeton Confindustria, i costi di produzione sono saliti di oltre il 50% a causa dell’incremento del valore dell’energia. Il prezzo del gas metano è aumentato di otto volte, l’elettricità è arrivato al massimo storico e il petcoke (combustibile utilizzato nel settore) è triplicato rispetto a gennaio 2020. Per sopperire, almeno in parte, alle difficoltà che le fabbriche di cemento stanno attraversando, la federazione suggerisce un maggiore impiego dei combustibili solidi secondari (Css) al posto dei combustibili fossili. «In Italia abbiamo una risorsa energetica a chilometro zero — spiega Roberto Callieri, presidente di Federbeton e amministratore delegato di Italcementi —. I Css vengono ricavati da quei rifiuti che ormai sono arrivati alla fine della loro utilità e non sono più riciclabili, che di solito vengono mandati in discarica, all’incenerimento o spediti all’estero, pagando altri Paesi per il loro smaltimento». In Europa la sostituzione dei prodotti petroliferi tramite Css è già molto frequente: i Paesi più avanzati hanno una percentuale media di utilizzo di oltre il 60%, in alcuni casi anche all’80%. Impiegare i Css come fonte di energia sarebbe una soluzione valida e sostenibile. «Questa soluzione, inoltre, darebbe un forte contributo al famoso problema dei rifiuti, soprattutto per grandi centri e città — aggiunge Callieri —. Anche il loro trasporto all’estero, nei Paesi dell’Est europeo o in Germania, è dispendioso economicamente e comporta grandi quantità di emissioni di CO2». Laboratorio Ref Ricerche ha elaborato una stima secondo cui un tasso di sostituzione del 66% nel nostro Paese porterebbe al taglio di 6,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica emesse. In Italia, invece, nonostante le fabbriche siano fornite di strumenti e tecnologie per la trasformazione dei rifiuti non riciclabili in combustibili, quindi fonte di energia, l’utilizzo di questa tecnica è limitata al 21%. Una problematica è anche la mancanza di una normativa a livello nazionale, che è, infatti, la richiesta di Federbeton. 

«Anche all’interno della stessa Regione, ci sono province più favorevoli e altre molto scettiche. Alcune fabbriche della Basilicata sono un buon esempio. Ma nei pressi di Roma, per esempio, si trovano due grandi cementerie (una è la più grande in Italia) che sarebbero pronte a divorare quantità enormi di rifiuti ma non hanno le autorizzazioni».

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