Cogeneratore di Scarlino: la transizione ecologica da fare nella testa delle persone. Nell’industria è già realtà

“L’inceneritore non va riaperto Biondi ha una visione miope”
12 Aprile 2021
Ama chiede aiuto “A Napoli i rifiuti della capitale”
10 Aprile 2021
Mostra tutti gli articoli

Cogeneratore di Scarlino: la transizione ecologica da fare nella testa delle persone. Nell’industria è già realtà

#tiromancino 

Cogeneratore di Scarlino: la transizione ecologica da fare nella testa delle persone. Nell’industria è già realtà

 

La cosiddetta transizione ecologica può significare in concreto che una destinazione turistica diventa più attrattiva se ha un inceneritore (alimentato a Css: combustibile solido secondario). Perché questo significa che c’è una gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti. Come peraltro prevede la normativa comunitaria, e di conseguenza quella nazionale.

Che gl’impianti di cogenerazione alimentati a Css siano un attentato al turismo, poi, andrebbe spiegato a chi frequenta Rimini, Riccione, Milano Marittima, Venezia…….ma solo per dirne alcune, di località. La transizione ecologica più impegnativa da affrontare, quindi, è quella nella testa delle persone. Perché in diversi ambiti l’evoluzione tecnologica ha già provveduto.

D’altra parte, oramai lo sanno anche i sassi, nella migliore delle ipotesi i rifiuti urbani (molto meno impegnativi di quelli industriali) possono essere recuperati o riciclati per un 70-75% del totale. E quindi – ammesso che quel che viene recuperato o riciclato abbia un mercato – per lo scarto dei processi rimangono la discarica e l’incenerimento, per produrre energia e calore. È tutto lapalissiano, studiato e dato per acquisito. Almeno nel mondo reale.

Ricordarlo non può essere scambiato per una provocazione. Perché la verità è rivoluzionaria per propria natura. E continuare oggi a sostenere il No al moderno cogeneratore che Iren Ambiente (proprietaria di Scarlino Energia) con presunte argomentazioni ambientaliste, è una narrazione che proprio non tiene. Soprattutto costituisce una visione antimoderna rispetto alla sostenibilità ambientale della gestione del ciclo dei rifiuti, che oggi la tecnologia garantisce di poter gestire in assoluta sicurezza secondo i mantra dell’economia circolare.

Né ha un gran senso tenere il punto del No a ogni costo, perché rispetto alla produzione di acido solforico Montecatini, poi Solmine, Eni e infine Nuova Solmine sono stati “cattivi” fino al definitivo passaggio di mano dell’impianto a Sol.Bat. nel 1997. E lo stesso, a partire dal ’97, avrebbero fatto con l’inceneritore Eni Ambiente, poi Syndial e infine, dal 2007 ai giorni nostri, Scarlino Energia. Visto che questa storia è iniziata nel 1962, forse sarebbe il caso di elaborare il lutto. E di non utilizzarlo più come alibi politico. Non foss’altro per il fatto che la volontà politica non è strumento utilizzabile «contra legem».

Ma come oramai vedrebbe anche un cieco, la farlocca argomentazione ambientalista in antitesi alla realizzazione di un moderno impianto di cogenerazione, è funzionale ad un obiettivo più alto. Almeno nella testa di alcuni. Ovverosia legittimare la teoria che l’industria in quanto tale – ergo l’intera area industriale del Casone di Scarlino – sarebbe incompatibile con lo «sviluppo di qualità» (locuzione passe-partout per ogni nefandezza) di questo territorio baciato da dio. Basato, direbbe Renzi Matteo, sul «Rinascimento» del turismo. Un turismo, evidentemente, dalle doti taumaturgiche; in grado di generare ricchezza e benessere diffusi.

E qui sta l’altro gigantesco travisamento dei fatti, che bisogna avere il coraggio di smascherare, perché foriero di tregenda e sventura. Avendo naturalmente l’accortezza di non delegittimare il comparto dei servizi turistici in quanto tale, ché proprio non è il caso.

Omettendo ogni ragionamento sulla pericolosità delle monoculture produttive (i servizi pesano per circa l’82% sull’economia grossetana), che pure andrebbe fatto. Intanto, bisogna considerare che il turismo è una delle attività più impattanti in termini ambientali. Fermandosi all’ovvio, basti considerare traffico veicolare, densità antropica, consumo d’acqua, di territorio e produzione di rifiuti (circa 600 kg per ogni residente in provincia di Grosseto). Castiglione della Pescaia, ad esempio, con poco più di 7.000 abitanti, nei momenti di picco della stagione estiva arriva ad avere intorno ai 100.000 residenti: circa 250mila arrivi per poco meno di un milione e mezzo di presenze all’anno. Abbastanza ridicolo, per dirne una, pensare che questa gente inquini anche solo quanto inquinerebbe (ma non lo fa) un moderno cogeneratore.

Ma ammettiamo, senza concederlo, che quell’inquinamento (turistico) sia sopportabile perché genera ricchezza diffusa. Per quale motivo astratto andrebbe ostacolato lo sviluppo industriale, che genera di gran lunga molta più ricchezza per addetto, e stipendi molto più alti per i lavoratori? C’è qualche acuminata intelligenza in grado di rendere digeribile il paradosso?

Perché notoriamente – chi non si fida cerchi in rete Antonio Pezzano su “Officina turistica” o il Rapporto 2018 sul turismo di Bankitalia – la produttività dell’industria è più del triplo di quella del turismo. Circa 100mila euro per addetto in media per l’industria (quella chimica di più) a fronte dei 27mila del turismo. Che a sua volta è una delle più basse nel settore dei servizi (40mila euro in media). Cosa che a cascata si trasduce in retribuzioni medie molto più basse.

Non solo questo, però. L’effetto del turismo sulla crescita è modesto. Dall’analisi effettuata da Bankitalia «un livello della spesa turistica pro capite iniziale più alto del 10 per cento genera, in media, una maggior crescita cumulata nel decennio successivo di circa 0,2 punti percentuali (l’effetto sale a un massimo di 0,4 punti percentuali in alcuni modelli stimati). L’effetto positivo si riflette anche in una crescita del tasso di occupazione, ma non della popolazione».

Peraltro, ci sono significative differenze tra le provincie in base ai livelli di sviluppo iniziali. Così che l’effetto è maggiore per le province meno sviluppate, cioè quelle che partono da bassi livelli di valore aggiunto pro capite e ridotti tassi di occupazione. «Ad esempio una crescita del 10 per cento della spesa turistica per abitante genera un effetto cumulato di 0,47 punti percentuali nelle province meridionali e di 0,15 punti in quelle centro-settentrionali nei dieci anni successivi». Andando più a fondo, poi, viene fuori che nelle province come Roma, dove la spesa (dei turisti internazionali) pro capite supera una certa soglia, «ulteriori aumenti (di spesa) non producono effetti positivi sul valore aggiunto». Perché «nelle aree molto turistiche oltre ad una congestione fisica, si assiste anche a una congestione economica».

Oppure, considerando il «conto satellite del turismo» elaborato da Bankitalia con l’obiettivo di pesare le diverse componenti del valore aggiunto del turismo, si scopre che «quasi un terzo di tale importo è riconducibile all’utilizzo della casa di proprietà per motivi turistici (seconde case)». Le altre attività economiche che contribuiscono maggiormente alla formazione del valore aggiunto turistico sono quelle dei «comparti alberghiero, della ristorazione, dei trasporti e, soprattutto, del commercio al dettaglio». Mentre le attività che presentano «una più elevata incidenza del turismo sono i servizi di alloggio, il trasporto aereo e le agenzie di viaggio». Infine, il turismo che genera più valore aggiunto è quello «industrializzato». Ovverosia quello basato su grandi numeri per lunghi periodi dell’anno, costruito in una logica di filiera. Cioè quello meno strutturato in provincia di Grosseto.

Ecco perché, a partire dal cogeneratore, quando si ragiona di modello di sviluppo è bene evitare di prendere delle sbandate che portino a pericolosi fuori strada. Ed è importante avere chiaro che il settore industriale, o manifatturiero, che pesa appena l’8-9% nel Pil provinciale, va in ogni modo consolidato e ampliato. Con l’obiettivo di riequilibrare un modello di sviluppo sin troppo sbilanciato sui servizi, puntando su comparti produttivi che garantiscono buona occupazione per 12 mesi all’anno. Ad alto contenuto d’innovazione e con retribuzioni mediamente più alte.


Paradossale ci vogliano condizioni di contesto eccezionali (il Covid) per realizzare cose normali, fatte passare per atti fenomenali.

Il governo Draghi ha quest’incombenza ed è giusto obbedisca alla propria natura, tenendo dritta la barra del timone. Anche se la politica dei professionisti, una volta di più, ci fa davvero una figuretta.

In un Paese che non fosse culturalmente alla canna del gas, l’assegno unico per i figli o l’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari (con sanzioni) sarebbero una cosa normale. Quasi scontata.

E invece c’è un dispendio imbarazzante d’aggettivi inappropriati, a sottolineare il «risultato storico», la «rivoluzione», il «cambiamento epocale», il «decisivo cambio di passo». Con una retorica tanto fastidiosa quanto grottesca. Perché si vede a occhio nudo che se non sei stato in grado di fare l’ovvio fino al giorno prima, di sicuro non diventi uno statista per averlo fatto in assenza di alternative.

Questo è uno dei veri poteri taumaturgici di Mario Draghi. Aver addomesticato al buon senso i campioni politici dell’inconcludenza. Complice il non avere altra scelta che fare oggi quel che il loro presunto mestiere avrebbe dovuto spingerli a fare ieri.

È così che per contrappasso oggi sono obbligati a tentare di far passare per rivoluzionario aver riunito bonus, detrazioni e contributi in un «assegno unico per la famiglia». Con gli “aedi” dei bonus (come Renzi) fra i più entusiasti della “novità” di averli sostituiti. Invero un po’ penosi nel loro esser patetici.

Ad ogni modo: tutto è bene quel che finisce bene. E magari la forza delle circostanze spingerà gl’ineffabili perditempo che siedono sugli scranni parlamentari a prendersi qualche altra responsabilità. Magari approvando la legge Zan che introduce le aggravanti per i reati motivati dall’omotransfobia, o la legalizzazione definitiva della coltivazione di cannabis terapeutica. Due norme di assoluto buon senso che gridano vendetta. E che già da tempo avrebbero dovuto esistere. Per cui tutti accetteremmo di buon grado fossero fatte passare per una rivoluzione, anche sapendo che non è vero.

Ché in fondo una gratificazione non si nega a nessuno. Nemmeno a chi sta in Parlamento a dispetto dei santi. In attesa messianica d’una schiatta di politici degni d’esser considerati classe dirigente

Chiamaci
Raggiungici