Ecco cosa dovrebbe fare il Ministro della Transizione Ecologica nei suoi primi 100 giorni

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Ecco cosa dovrebbe fare il Ministro della Transizione Ecologica nei suoi primi 100 giorni

Materia Rinnovabile 

Il nuovo Ministero per la transizione Ecologica, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la necessità di riscrivere il Piano Clima e la strategia sull’economia circolare che ancora non si vede. Materia Rinnovabile ha incontrato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente per fare il punto su questo importante momento storico per l’ambiente e l’economia del Paese.

La nomina di Roberto Cingolani al Ministero della Transizione ecologica è un segno di discontinuità dal passato. Come ha accolto questa notizia Legambiente?
Il Ministero della transizione ecologica è una grande novità. Da qualche giorno i nostri temi sono diventati un pilastro dell’agenda del nuovo governo Draghi. Questo è il risultato di decenni di nostre battaglie affinché politiche ambientali e politiche energetiche ricadessero sotto lo stesso ministero. Non dimentichiamo però il ruolo importante del Ministero delle Infrastrutture con Enrico Giovannini, dell’Agricoltura, con il ministro Stefano Patuanelli – che speriamo faccia diversamente e meglio di quanto ha fatto Teresa Bellanova – e naturalmente il ministero dello Sviluppo economico con Giancarlo Giorgetti.
Cingolani però ha una grandissima responsabilità. Ha in mano uno strumento che non ha mai avuto nessuno ed ha un portafoglio di risorse economiche mai visto su questo tema nel nostro Paese.

Il lavoro che lo attende è monumentale…
L’Italia è, sotto certi punti di vista, ai primi posti a livello internazionale sull’economia circolare, ma in alcune regioni siamo tremendamente indietro. Siamo i primi nell’innovazione industriale, nella bioeconomia e nella chimica verde e abbiamo ancora dei rottami industriali, come il polo di Gela o l’Ilva. C’è un paese da riqualificare.
Cingolani dovrà poi gestire un problema interno: il ministero dell’Ambiente di oggi non è nelle condizioni di poter gestire i 70 miliardi di euro del Next Generation EU. Il personale è assolutamente inadeguato nei numeri nelle competenze. Fondamentale sarà il decreto per accorpare la parte energetica al ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare.
Infine dovrà eliminare i sussidi ambientalmente dannosi con il Mef, con il ministero delle Politiche agricole e col ministero delle Infrastrutture e dei trasporti perché gli agricoltori e i trasportatori devono essere aiutati a riconvertire le loro produzioni.

Voi avete pubblicato una vostra proposta di PNRR. Cosa va cambiato della bozza del precedente governo, in particolare riguardo all’economia circolare?
Servono l’allegato tecnico e le schede progettuali per capire i dettagli delle proposte. Ad ora quel documento è rimasto al ministero dell’Economia e Finanze. Sul tema dell’economia circolare il tema chiave è quello della semplificazione degli iter autorizzativi degli impianti di trattamento e degli iter di definizione dei decreti End of Waste. Bisogna dare poi priorità assoluta agli impianti per trattare l’organico per produrre compost di qualità e biometano, in particolare nel Centro-Sud. Ma servono anche impianti specifici: come quelli per i prodotti assorbenti, per le terre di spazzamento e i rifiuti speciali e pericolosi. Serve anche una strategia per i rifiuti da costruzione e demolizione. Dobbiamo smetterla di aprire cave, buchi e voragini nel territorio per prelevare degli inerti per l’edilizia e per le opere pubbliche: meglio usare aggregati riciclati con le prestazioni più elevate. Per i rifiuti dell’edilizia servono risorse e l’approvazione di un decreto End of Waste apposito. Altro elemento chiave: creare un sistema di impianti e progetti per garantire la bioeconomia circolare nelle aziende agricole che possono dare un contributo importante nella decarbonizzazione, ad esempio con produzione di biometano per i mezzi agricoli.

L’Italia però non ha ancora un Piano Nazionale Economia Circolare. Così è più difficile conservare una visione circolare nel PNRR.
Così come manca un PNIEC che includa i nuovi obiettivi EU, lo stesso vale sul tema dell’economia circolare. La pianificazione è fondamentale per il PNRR e per lo sviluppo economico del paese. Piano Clima e Piano Economia Circolare si devono parlare, devono andare su binari paralleli. Il Piano è fondamentale poi per colmare i gap territoriali (con aree indietro come Sicilia ma anche la Liguria). Attendiamo dal Ministero.

Un’altra voce importante del PNRR è l’acqua. Servirebbe una visione circolare anche in questo ambito?
Il PNRR sul tema dell’acqua ha un’impostazione decisamente vecchio stile. Innanzitutto nella ripartizione delle risorse. Ci sono 4,38 miliardi di euro per la realizzazione dei nuovi invasi, mentre solo 600 milioni di euro sulla depurazione e 900 milioni di euro sulle reti acquedotti. Per l’approvvigionamento i soldi sono troppi, non serve solo nuova offerta. Bisogna ottimizzare la domanda facendo un lavoro su tutta la filiera, in particolare da parte del mondo agricolo. Meglio usare i soldi per i depuratori di nuova generazione: questi infatti oltre a gestire i fanghi di depurazione per produrre biometano, biomateriali, e ridurre i consumi energetici, possono dare all’agricoltura acque reflue depurate. Un apporto importante di acqua e nutrienti per i terreni agricoli.
Dobbiamo inoltre riqualificare le città dal punto di vista idrico per impiegare le acque piovane captate per vari usi, urbani e agricoli. Come abbiamo fatto una rivoluzione culturale sulla riqualificazione energetica e sismica ora serve una nuova visione della riqualificazione idrica che parta dalle case ma coinvolga anche i comuni.

Molti nuovi progetti e impianti stanno per arrivare. Però l’Italia rimane un paese del no, dei tanti comitati che in alcuni casi anche a torto si oppongono ad opere necessarie.
Dobbiamo evitare che in questo Paese si scateni una nuova guerra civile diffusa su tutto il territorio contro gli impianti. Per evitare questo bisogna mettere in campo una nuova legge sul dibattito pubblico che la Francia ha approvato alla fine degli anni ‘90. Non si può più dire: gli impianti eolici non vanno bene o gli impianti a biomassa non vanno bene. Entro il 2026 bisogna aprire e chiudere i cantieri dei progetti del PNRR. Serve quindi semplificare gli iter autorizzativi, scegliere le opere giuste. Dopodiché bisogna fare in modo che sul territorio si condividano le scelte con i cittadini. Poi qualcuno non sarà d’accordo, ma è importante mettere in campo un percorso diverso di condivisione.
Semplificazioni, riforma fiscale e la legge sul dibattito pubblico: ecco tre cose che il nuovo ministero della transizione ecologica deve chiedere nei primi 100 giorni di questo governo.

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