Ecco il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti, il Mite ha pubblicato la sua proposta

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Ecco il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti, il Mite ha pubblicato la sua proposta

È entrato in fase di consultazione pubblica il documento che definisce le linee strategiche cui dovranno attenersi i vari Piani regionali

Di Luca Aterini

È stata pubblicata dal ministero della Transizione ecologica (Mite) la proposta di Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (Pnrg) – liberamente consultabile qui –, attualmente sottoposta a Valutazione ambientale strategica (Vas).

Il Programma rappresenta una delle riforme principali della missione sull’economia circolare del Pnrr, e si apre ora alla consultazione pubblica per 45 giorni; l’entrata in vigore è invece prevista tra poco più di tre mesi, alla fine di giugno.

«L’obiettivo del Programma – spiegano dal Mite – è colmare il gap impiantistico, aumentare il tasso di raccolta differenziata e di riciclaggio al fine di sviluppare nuove catene di approvvigionamento di materie prime seconde dal ciclo dei rifiuti, in sostituzione di quelle tradizionali e contribuire alla transizione energetica. Si tratta di una riforma che deve accompagnare e sostenere i due investimenti del Pnrr per l’economia circolare, uno da 1,5 miliardi di euro e l’altro da 600 milioni, i cui avvisi si stanno chiudendo in questi giorni».

In altre parole il Pnrg, che ha un orizzonte temporale di sei anni (2022-28), fissa i macro-obiettivi, le macro-azioni, i target, definisce i criteri e le linee strategiche a cui le Regioni e le Province autonome dovranno attenersi nella elaborazione dei Piani di gestione dei rifiuti; offre poi una ricognizione nazionale dell’impiantistica e dà gli indirizzi per colmare i gap impiantistici fra le regioni.

Nessuna “imposizione dall’alto”, comunque. Come sintetizzano dal laboratorio Ref ricerche il Pnrg non vuole affatto sostituirsi ai Piani regionali di gestione dei rifiuti, lasciando in capo alle Amministrazioni regionali le scelte afferenti alle tipologie e all’ubicazione degli impianti: «Dal Pnrg, infatti, non derivano “interventi o progetti specifici”, quanto piuttosto indirizzi e linee strategiche a cui attenersi».

Ad esempio, da una parte il Programma riafferma la validità delle nuove regole di calcolo dei dati sul riciclo introdotte dall’art. 11-bis della Direttiva 2008/98/CE, e dall’altra indica la necessità di adottare a livello regionale pianificazioni basate su una attenta quantificazione dei flussi dei rifiuti e individua nella metodologia Lca (Life cycle assessment) per la comparazione degli scenari di gestione, tenendo conto di tutti gli impatti ambientali.

Più in generale, il Programma parte dalla consapevolezza che la produzione totale dei rifiuti in Italia (2019) ammonta «a circa 184 milioni di tonnellate. Di queste, circa 30 milioni sono di provenienza urbana e la restante quota è invece generata dalle attività produttive».

L’attenzione del Pnrg resta però sproporzionalmente rivolta alla sfera minoritaria dei rifiuti urbani, dato che per legge “solo” questa frazione ricade nell’ambito della privativa comunale  e dunque la sua gestione è (su base diretta o tramite affidamento) in capo alla mano pubblica, mentre i rifiuti speciali sono di norma affidati al mercato. Ciò non cancella però il fatto tutta l’infrastruttura impiantistica per la loro gestione, dal riciclo al recupero energetico allo smaltimento, è soggetta e dunque dipende dalle autorizzazioni regionali. Di fronte a questo paradosso, sembrano emergere tentativi d’equilibrismo.

Da una parte la proposta di Pnrg afferma che «ogni Regione deve quindi garantire la piena autonomia per la gestione dei rifiuti urbani non differenziati e per la frazione di rifiuti derivanti da trattamento dei rifiuti urbani destinati a smaltimento» e che anche i rifiuti organici «originati dal ciclo di gestione dei rifiuti urbani» devono essere gestiti «all’interno del territorio regionale», aggiungendo una novità rilevante: «Ad esclusione dei rifiuti organici, l’autonomia gestionale può essere garantita, in alcuni casi, anche su un territorio più ampio, da individuare come “macroarea”, previo accordo tra le Regioni interessate».

Dall’altra, lo stesso Programma sostiene che «l’Lca deve essere applicata a un sistema completo di gestione rifiuti, indipendentemente dalla tipologia dei rifiuti considerati nello studio», individuando i seguenti flussi di rifiuti sui quali il Pnrg e, conseguentemente la programmazione regionale, deve concentrarsi: rifiuti urbani indifferenziati; rifiuti provenienti dal trattamento dei rifiuti urbani; scarti derivanti dai trattamenti delle frazioni secche da raccolta differenziata, del trattamento delle frazioni organiche; rifiuti organici; rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee); rifiuti inerti da costruzione e demolizione; rifiuti tessili; rifiuti in plastica; rifiuti contenenti amianto; veicoli fuori uso; rifiuti sanitari a rischio infettivo».

Per tutti questi flussi “strategici” di rifiuti la proposta di Pnrg offre un quadro di sintesi (riportato di seguito in allegato, ndr) sui gap impiantistici , indicando le conseguenti azioni regionali da intraprendere per colmare il gap nazionale individuato per ciascun flusso preso in considerazione.

Un esempio su tutti, la plastica. Il Pnrg afferma che il 95% della plastica da raccolta differenziata, ma che solo il 48,7% degli imballaggi in plastica è riciclato (e in base alla nuova metodologia di calcolo ci fermeremmo al 41,1%), sottolineando che una quota consistente del rifiuto prodotto dal pretrattamento della raccolta differenziata presso le piattaforme di selezione «è costituita da plasmix (oltre il 40%), attualmente destinato a smaltimento o a recupero di energia».

Che fare dunque? «Gli scarti di selezione (plasmix) trovano scarso utilizzo ai fini del riciclaggio meccanico, per mancanza di tecnologie adeguate (con eccezioni, in Toscana ad esempio Revet ricicla almeno la componente poliolefinica del plasmix, ndr). Sviluppare e realizzare impianti con nuove tecnologie di riciclaggio delle frazioni di scarto (ad esempio, mediante processi di riciclaggio chimico per le frazioni non riciclabili meccanicamente e quindi destinate a discarica o termovalorizzazione)».

Naturalmente, è ancora presto per capire se questa come tutte le altre indicazioni contenute nel Pnrg riusciranno a sbloccare la situazione di stallo che ormai grava da anni sull’economia circolare italiana: gli impianti per la gestione rifiuti registrano fortissime difficoltà nella messa a terra sui territori, frenati dal moltiplicarsi di sindromi Nimby&Nitmo che finiscono poi paradossalmente a gravare sulla Tari pagata da cittadini e imprese. Uno stallo che se ne infischia della suddivisione meramente burocratica tra rifiuti urbani e rifiuti speciali, ma che ci lascia in eredità un’evidenza: nel nostro Paese il tasso di utilizzo circolare dei materiali (Cmu) è solo al 19,3%, il che significa che l’80,7% della nostra economia ancora non è “circolare” ma incide sul consumo di risorse naturali vergini.

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