Gli scarti come risorsa “Servono gli impianti”

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Gli scarti come risorsa “Servono gli impianti”

Il Tirreno, Toscana Economia&Lavoro

Gli scarti come risorsa

“Servono gli impianti”

Ilenia Reale

Lo scarto, recita il vocabolario Treccani, è qualcosa di scadente, mediocre, di poco valore. L’economia circolare sradica gli usi e va a minare anche il significato di alcune parole di uso comune perché trasforma lo scarto in materia per costruire qualcosa di nuovo e lo nobilita, lo inserisce in un nuovo flusso. Un cerchio perfetto in cui si produce e si ricicla con l’obiettivo di ridurre al massimo gli sprechi. Ed è questa la sfida che nel mondo, in Europa e a tutti i livelli, ci siamo posti sfidando ritardi storici.

Materia prima o materia seconda?

Revet, azienda pubblico privata, raccoglie i rifiuti di plastica della Toscana e li trasforma in oggetti di grande valore: giochi per i giardini pubblici, sedute per gli stadi e preziosi braccialetti della maison Pomellato, con le famose pepite “Dodo”. Quale nobilitazione più alta di un gioiello simbolo dello scarto? Irplast, siamo a Empoli, ha trasformato invece il mondo del packaging fino a creare etichette intelligenti che rendono completamente riciclabile le bottiglie di plastica. Alia, la società di ghestione dei servizi ambientali della Toscana Centrale, ha destinato 30 milioni per costruire un impianto – il più grande d’Italia – che produrrà biometano dai rifiuti organici delle raccolte differenziate. Per cominciare sarà carburante dei mezzi utilizzati proprio per la raccolta differenziato. Il vetro triturato alla Zignago e diventa nuovi bicchieri e bottiglie con un “viaggio” di appena mezzo chilometro lanciando la sfida al concetto di recupero a chilometro zero. E, tra poco, i metri saranno addirittura zero con riciclaggio – di Vetro Revet – e riuso in un’unica area. Quasi una catena di montaggio, dal rifiuto allo scaffale. Poi ci sono le esperienze di interi distretti, i bomber dell’industria toscana: le bottiglie diventano morbidi maglioni di pile, il rame ha ben più di sette vite, lo stesso vale per la carta. Esperienze che hanno anticipato i tempi ma che oggi dovranno inserirsi in una nuova cultura diffusa destinata a trasformare in una manciata di anni le nostre abitudini ma soprattutto il sistema produttivo che sta progettando soluzioni per chiudere i mille cerchi di tante economie circolari. Tante quanti sono i nostri settori produttivi, le nostre case, le nostre aziende, i nostri sistemi di approvvigionamento energetico in tutte le declinazioni possibili. Insomma, forse non conviene più parlare di scarti, ma di risorse o giacimenti ai quali l’industria sa guardare e attingere.

Una sfida che vale miliardi anzi. . . un ministero

Una sfida su cui l’Europa ha deciso di investire il 37 per cento dei fondi destinati al Recovery fund. Un fiume di soldi che sarà un acceleratore dei nuovi processi. Una rivoluzione industriale che anche in Italia, dopo Francia e Spagna, ha portato alla costituzione del ministero della transizione ecologica affidato non a caso a un fisico, già direttore dell’Istituto italiano della tecnologia, Roberto Cingolani. «Il nuovo ministero per la transizione ecologica dovrà tenere insieme più cose: dal processo verso lo sviluppo dilagante delle rinnovabili, all’efficienza energetica fino alla transizione verso la decarbonizzazione», sottolinea Marco Frey, professore di management alla scuola superiore Sant’Anna di Pisa e autore del libro, con i colleghi Fabio Iraldo e Natalia Marzia Gusmerotti, “Management dell’economia circolare. Principi, drivers, modelli di business e misurazione”. La teoria – tra l’altro insegnata in un’apposita accademy per i manager nei locali della lucchese Kme – di quanto dovrà accadere nei sistemi industriali. «All’ordine del giorno dell’«agenda europea, e a cascata a livello locale, – spiega il professore – c’è il cambiamento della gestione dei rifiuti, del settore dell’agricoltura, della mobilità fino all’elettronica con la produzione di componenti e ricariche universali che mettono la parola fine a quella che è chiamata obsolescenza programmata, l’invecchiamento rapido dei prodotti».

I rifiuti speciali di lavorazione

La Toscana gioca questa partita e lo fa partendo dall’esigenza di chiudere l’ultimo segmento di una circonferenza quasi perfetta quello di dare una destinazione (e un riutilizzo) agli scarti di lavorazione dei principali settori. L’ultimo tassello su cui c’è bisogno di colmare ritardi rispetto al Nord Europa. «Nel tempo abbiamo avviato confronti con tre distretti, quello del cuoio, del tessile e della carta”, introduce l’argomento Edo Bernini, direttore della direzione ambiente ed energia della Regione. «L’obiettivo è dare una destinazione certa ai rifiuti anche perché ci sono realtà industriali che l’economia circolare l’hanno messa in campo da sempre. Il tessile produce 50mila tonnellate di rifiuti non diversamente riutilizzabili, la carta ha lo scarto del pulper che ha difficoltà di collocazione in assenza di un’impiantistica dedicata. Questa impossibilità di chiudere il cerchio fa sì che nonostante ci siano aziende di punta che stanno a pieno titolo nell’economia circolare la Toscana non sia considerata all’avanguardia». Una situazione determinata da un sistema pubblico che non ha fatto scelte per chiudere il ciclo, dall’altra di un sistema produttivo che non si è curato di farlo sobbarcandosi forti costi di smaltimento che hanno inciso sulla competitività e oggi sul requisito della sostenibilità fortemente richiesto anche dal mercato.

Un confronto su undici tavoli

La Regione per continuare un cammino, coordinato dall’assessore Monia Monni, ha costituito undici gruppi di lavoro per trovare soluzioni – grazie anche alla collaborazione con la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa – in termine di tecnologie e mercati di sbocco trattando sia gli aspetti impiantistici sia autorizzativi con lo scopo di realizzare gli impianti economia circolare necessari ma anche essiccatori per i fanghi di depurazione (140mila tonnellate tra sistema idrico integrato e della depurazione industriale) e biodigestori anaerobici per rimettere in rete biogas e produrre compost di qualità. «L’assessora Monni ritiene che il piano dei rifiuti sarà quindi inserito in un contesto di economia circolare. Questa sarà la nostra filosofia di lavoro», conclude Bernini. Strutture che si aggiungeranno a quelle in fase di realizzazione a Peccioli (Albe), a Montespertoli (Alia), Scapigliato (Geofor) e quello già attivo a Monterotondo. La scommessa del resto è accelerare per utilizzare i fondi del Recovery fund, i progetti dovrebbero essere cantierabili entro il 31 dicembre 2022, o in alternativa inserirli in altri percorsi di finanziamento.

Obiettivo, 60 per cento di riciclo entro 2030

Riutilizzo differenziato degli scarti ma anche abbattimento dei rifiuti. È questo un secondo obiettivo a cui mirare. In Toscana oggi vanno in discarica oltre cinque, seicentomila scarti. Dovremo arrivare a ridurli della metà entro il 2030-2035. Con un elemento da cogliere: ridurre i rifiuti in discarica non significa aumentare la differenziata ma raggiungere il 60 per cento di rifiuti riciclati. Oggi i dati Ispra danno la Toscana al 40-50 per cento. Un percorso lungo ma non impossibile.

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