«Intoppi burocratici ma l’Italia è virtuosa»

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«Intoppi burocratici ma l’Italia è virtuosa»

Corriere della Sera

«Intoppi burocratici ma l’Italia è virtuosa»

Realacci: sulle rinnovabili abbiamo perso tempo

di Anna Tagliacarne

Le «imprese che investono in sostenibilità sono più competitive: tra il 2017 e il 2021, sono state 531 mila le aziende italiane eco-investitrici, con un incremento del 51% rispetto al quinquennio precedente. E i dati ci dicono che un’economia a misura d’uomo, pronta alla sfida climatica e alla transizione verde è vincente sul piano del business: le società che si preoccupano dell’ambiente sono infatti le più dinamiche sui mercati esteri. Essere buoni conviene: non è più solo una scelta valoriale, ma anche di competitività», analizza Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, che con Unioncamere e la collaborazione del Centro Studi Tagliacarne ha realizzato il tredicesimo rapporto GreenItaly.

«Quando si pensa all’economia circolare in genere si immagina la raccolta dei rifiuti urbani che, invece, rappresentano una percentuale circa il 15-16%, mentre il grosso dei rifiuti deriva dal ciclo produttivo: l’Italia è leader con un avvio a riciclo sulla totalità dei rifiuti pari all’83,4%, risultato superiore alla media europea che si attesta sul 53,8% — continua Realacci —. Siamo un Paese povero di materie prime, e a tante nostre filiere molto efficienti, penso ai rottami di Brescia agli stracci di Prato alle cartiere della Lucchesia, figlie di questa carenza cromosomica, negli anni si sono aggiunte le sensibilità dei consumatori e delle imprese, che hanno capito quanto sia conveniente recuperare la materia prima: nella filiera arredo-casa oggi il 95% del legno viene riciclato per produrre pannelli per l’arredo». Ma allora, se la Green Economy accelera, se le imprese diventano ambientaliste e i consumi elettrici per il 36% sono soddisfatti da fonti rinnovabili, i dati sono al 100% confortanti? «No: sulle rinnovabili abbiamo perso troppo tempo considerato che la percentuale prodotta in Italia è inchiodata dal 2012-2014 a circa un terzo del totale dei consumi — spiega Realacci —. Dobbiamo accelerare, eliminare i blocchi che frenano lo sviluppo. Il nodo burocratico è il problema principale: per installare un parco eolico davanti all’Ilva di Taranto sono stati necessari dodici anni. È necessario permettere gli investimenti: pensiamo al mondo acciaierie, un gruppo come Feralpi ha annunciato un investimento di 116 milioni per un impianto fotovoltaico tale da raggiungere una produzione di 200 milioni di KW/h. Oppure Arvedi, la prima acciaieria al mondo certificata NET ZERO EMISSIONS, zero emissioni nette di anidride carbonica, risultato raggiunto 28 anni prima del target fissato dalla Commissione Europea: in Italia abbiamo una struttura produttiva più efficiente rispetto ad altri Paesi, che la politica deve agevolare, non ostacolare». E dello stesso avviso è Andrea Prete, presidente di Unioncamere: «Nel 2021, anno di ripresa post-pandemia, è cresciuta la quota di imprese eco-investitrici: più di un terzo delle imprese italiane hanno avviato la transizione ecologica mentre le altre imprese, specie quelle più piccole, un po’ reticenti, andrebbero agevolate. Anche per quanto riguarda l’occupazione green, i contratti relativi ai green jobs attivati lo scorso anno rappresentano il 34,5%, ma emerge una domanda per figure professionali più qualificate, occorrono competenze che il mercato del lavoro non offre, e così su 10 richieste di esperti le aziende ne trovano 6 mentre 4 posti restano scoperti».

Conclude Prete: «Il nostro mondo produttivo dimostra da anni attenzione ai temi della sostenibilità ambientale, e oggi, anche in ragione dell’emergenza energetica, guarda con interesse alle potenzialità delle rinnovabili. Ma i tempi autorizzativi (in Italia occorrono 33 diverse autorizzazioni) rallentano l’installazione di impianti per la produzione di questa energia: nel 2021 è stata installata solo una potenza pari a 1.351 MW, dato lontanissimo dal target definito dal Governo pari a 70.000 MW entro il 2030. Se vogliamo renderci energeticamente indipendenti dobbiamo sbloccare i progetti e snellire i procedimenti: è stato calcolato che una riduzione di solo un terzo della burocrazia aumenterebbe il PIL di un punto».

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