La raccolta differenziata in Toscana sale al 64%, ma all’appello mancano ancora gli impianti

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La raccolta differenziata in Toscana sale al 64%, ma all’appello mancano ancora gli impianti

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La raccolta differenziata in Toscana sale al 64%, ma all’appello mancano ancora gli impianti

Monni: «Dovremo continuare ad aumentare la raccolta e migliorarne la qualità, in modo da rispettare gli obiettivi comunitari di riciclo, minimizzando lo smaltimento in discarica»

Di Luca Aterini

L’Agenzia regionale recupero risorse (Arrr) ha appena certificato i dati 2021 sulla raccolta differenziata toscana, presentati oggi dall’assessora all’Ambiente Monia Monni: il dato medio regionale ha raggiunto quota 64,18%, a un soffio dall’obiettivo nazionale che avrebbe dovuto essere traguardato nel 2012 (65%).

Un andamento in linea con la media nazionale, dove nel 2020 (ultimo dato Ispra disponibile) la raccolta differenziata è arrivata al 63% dei rifiuti generati. I rifiuti urbani, per inciso: gli speciali sono circa il quintuplo, ma la normativa ne affida la gestione al mercato e non specifica obiettivi minimi per raccolta differenziata o riciclo effettivo.

Nel corso del 2021, in Toscana la raccolta differenziata è dunque cresciuta del 2% circa, dal 62,12% raggiunto nel 2020. «Tenendo conto del trend in crescita e della continua attivazione di nuovi servizi di raccolta, credo – commenta Monni – che l’obiettivo del 65% che ci siamo dati in linea con la normativa vigente, sarà raggiunto nel 2022. La nostra nuova sfida sarà raggiungere  il 75% di raccolta differenziata al 2028, fissato come meta dal Piano regionale dell’economia circolare. Si tratta di una sfida comunque gravosa, dovremo continuare ad aumentare la raccolta e migliorarne la qualità, in modo da rispettare gli obiettivi comunitari di riciclo e recupero di materia,  minimizzando lo smaltimento finale in discarica».

A livello territoriale, il risultato migliore in termini di raccolta differenziata è quello raggiunto dall’Ato Toscana Centro, con il 67,91%. Anche l’Ato Toscana Costa si mantiene sopra l’obiettivo del 65% con il suo 67,72%. L’Ato Toscana Sud si attesta invece al 53,3%, ma sta rapidamente recuperando terreno: è il territorio che segna l’aumento maggiore rispetto al 2020, +3%.

Ma la raccolta differenziata, è bene ricordare, non è tutto. Rappresenta un utile strumento in relazione ad un fine, che è quello di massimizzare il recupero di materia (riciclo) dai nostri rifiuti. Un processo industriale che prevede la presenza sul territorio di: piattaforme per l’ulteriore selezione e avvio a riciclo dei rifiuti all’interno delle relative filiere (industria cartaria per la carta, vetraria per il vetro, siderurgica per l’acciaio, etc); impianti in grado di recuperare prodotti chimici (riciclo/recupero chimico) o energia (termovalorizzazione) dei rifiuti secchi non riciclabili meccanicamente; impianti di smaltimento finale (discarica) per i rifiuti non recuperabili.

Si tratta di una gerarchia per la gestione sostenibile dei rifiuti che non può essere elusa neanche raggiungendo un ipotetico 100% di raccolta differenziata, perché – come insegna il secondo principio della termodinamica –, ad ogni trasformazione la materia e l’energia si degradano, rendendo impossibile recuperarle in toto. E questo senza considerare le frazioni estranee presenti nella differenziata.

Basti osservare che in Toscana (come nel resto del Paese) circa il 20% di quanto raccolto in modo differenziato è da buttare di nuovo: un dato costante negli anni, come mostrano i dati offerti dalla Regione e dall’Arpat.

Un dato cui naturalmente non sfugge neanche l’Ato centro, il più virtuoso in termini di raccolta differenziata: «L’Ato centro – ha spiegato Monni nei giorni scorsi – genera 878mila t/a di rifiuti (urbani, ndr), di questa quantità il 67% è raccolto in modo differenziato (596mila t/a) e di questa differenziata 120mila t/a sono scarti che vengono inviati fuori dall’Ato centro: non tutto quello che si produce può infatti essere riciclato o riciclato all’infinto. Poi c’è l’indifferenziato, pari a 280mila t/a».

Si parla dunque di circa 400mila t/a di rifiuti, tra scarti della differenziata e indifferenziato, che abbisognano di impianti di prossimità per essere gestiti in modo sostenibile: a Empoli è in piedi una proposta per realizzare un Distretto circolare basato sul riciclo chimico, in grado di ricavare metanolo e idrogeno, ma una montante protesta Nimby (non nel mio giardino) è sorta per dire no all’ipotesi.

Non è una novità, purtroppo. Come testimonia un recente sondaggio condotto da Legambiente e Ipsos a livello nazionale, ai cittadini l’economia circolare piace a parole, meno sui territori. Solo il 26-36% degli italiani si rende conto della necessità di nuovi impianti di riciclo, mentre oltre metà della popolazione nazionale è disposta ad accoglierli ma solo ad almeno 10 Km dalla propria abitazione.

Senza trasparenza per recuperare fiducia in istituzioni e imprese, senza una politica industriale all’altezza e senza un’informazione ambientale di qualità, la rotta della transizione ecologica resta irta di insidie.

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