L’allarme di Conai: «Imballaggi, raccolta differenziata a rischio»

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L’allarme di Conai: «Imballaggi, raccolta differenziata a rischio»

Corriere della Sera

Il Consorzio nazionale imballaggi (Conai), di cui fanno parte circa 800 mila imprese produttrici e utilizzatrici di imballaggi, ha scritto al premier Giuseppe Conte per chiedere di aumentare la capacità di stoccaggio degli impianti e la capacità termica dei termovalorizzatori per evitare il blocco delle filiere di recupero e riciclo dei rifiuti. L’impatto del diffondersi del coronavirus e le conseguenze economiche della chiusura delle attività commerciali e industriali non essenziali si fanno sentire anche sul recupero degli imballaggi, che sta alla base del riciclo e dell’economia circolare. La lettera del presidente Giorgio Quagliuolo era indirizzata anche al capo della Protezione civile, ai ministri dell’Ambiente, dello Sviluppo economico, dell’Economia e al presidente dell’Anci.

Filiera a rischio

«Il blocco delle attività produttive non strategiche — spiega il Conai — sta determinando la cancellazione di molti ordini di acquisto di materia prima seconda, ossia la materia ottenuta da riciclo. Un problema che potrebbe, in tempi brevi, costringere i riciclatori a bloccare, almeno in parte, i ritiri dei rifiuti selezionati utilizzati per produrre materia riciclata». Impianti e piattaforme di conferimento e selezione dei rifiuti hanno infatti limiti stabiliti dalla legge per lo stoccaggio. Una volta raggiunto tale limite non possono accogliere ulteriore materiale. «La compromissione delle attività presidiate da Conai può mettere a repentaglio la raccolta differenziata — spiega il presidente Quagliuolo —. inficiando i positivi risultati che siamo riusciti ad ottenere negli anni e determinando conseguenze gravissime sull’intero sistema di gestione dei rifiuti urbani, già congestionato».

Le richieste

Il Conai chiede al governo un intervento nell’ambito dell’articolo 113 del decreto-legge Cura Italia, che reca disposizioni per il rinvio di scadenze adempimenti relativi a comunicazioni sui rifiuti per tutta la durata dell’emergenza sanitaria. «Servono almeno quattro modifiche — prosegue il presidente Quagliuolo —. Innanzitutto aumentare la capacità annua e istantanea di stoccaggio di tutti gli impianti già autorizzati alle operazioni di gestione dei rifiuti, fino a raddoppiarla. Aumentare poi anche la capacità termica, consentita dalla legge, di tutti i termocombustori esistenti, fino a saturazione. Semplificare le procedure burocratiche necessarie per l’accesso alle discariche. E infine autorizzare spazi e capacità aggiuntive per il trattamento e lo smaltimento delle frazioni non riciclabili, che in questa fase non trovano sbocco a termovalorizzazione».

Torna la discarica

In questo contesto, osserva Utilitalia, emerge con forza la debolezza dell’Italia, che non ha abbastanza impianti per il trattamento dei rifiuti cui si aggiunge la crisi del coronavirus e lo stop del trasporto dei rifiuti all’estero. I materiali più difficili da smaltire in questo momento sono gli scarti della plastica (quella non riciclabile), i fanghi di depurazione e le scorie degli inceneritori. Il Conai aggiunge anche l’acciaio. Utilitalia ha stimato che 3.500 tonnellate di rifiuti a settimana di solito conferite all’estero ora dovranno trovare una soluzione nazionale. E poiché gli impianti sono saturi, probabilmente la loro fine sarà in discarica.

Plastica e acciaio

I termovalorizzatori del Nord Italia sono arrivati a saturazione e la plastica non riciclabile (plasmix) che prendeva la via dell’Austria e dei Paesi dell’Est Europa dall’inizio dell’emergenza coronavirus non supera più i confini nazionali. Si sta contemporaneamente azzerando la possibilità di utilizzo finale del plasmix nei cementifici, che lo usano come collante, a causa della chiusura di questi ultimi. Anche l’acciaio rischia la crisi. Sono chiuse 4 acciaierie su 5, spiega il Conai: lavora solo quella in Sicilia che riesce così a garantire uno sbocco per il materiale che arriva da Puglia, Calabria e Sicilia stessa. Quelle chiuse hanno anche gli ordini fermi. «L’anello debole per l’acciaio — prosegue il Conai — sono soprattutto i rottamai, che rappresentano l’ultimo passaggio prima dell’acciaieria. Con le acciaierie chiuse, i rottamai non avranno molta autonomia, e dovranno iniziare a interrompere del tutto i ritiri dalle piattaforme».

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