Linea dura della Corte Ue sul rilascio di autorizzazioni End of waste dei residui

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Linea dura della Corte Ue sul rilascio di autorizzazioni End of waste dei residui

Italia Oggi

Un filtro per il recupero rifiuti

Va garantita l’assenza di ricadute su salute e ambiente

di Vincenzo Dragani

End of waste per molti ma non per tutti: occorre che non ci siano ricadute negative sulla salute e sull’ambiente. Sebbene la decretazione d’urgenza di fine 2019 abbia legittimato il rilascio delle autorizzazioni per il recupero dei rifiuti non contemplati da specifiche norme tecniche Ue o nazionali, i titoli che legittimano la «cessazione della qualifica di rifiuto» non potranno essere né rilasciati dalle autorità competenti (tra cui le regioni) né richiesti dagli operatori per il trattamento di residui che non garantiscano con certezza l’assenza di effetti negativi su salute e ambiente. La regola si evince dalle prime sentenze della Corte di giustizia europea che interpretano (con valore vincolante per gli stati membri, e quindi loro articolazioni interne) le norme sull’End of waste previste dalla direttiva 2008/98/Ce (tradotte sul piano nazionale a mezzo del dlgs 152/2006) e relative norme satellite, tra cui l’ultimo «decreto crisi aziendali».

Il contesto legislativo. La legge 128/2019 (di conversione del dl 101/2019, il cosiddetto «decreto crisi aziendali») ha stabilito che dallo scorso 3 novembre 2019 le autorizzazioni End of waste (ossia i materiali che hanno cessato di essere considerati rifiuti) per il recupero di rifiuti non contemplati da «criteri specifici» comunitari o nazionali possono essere rilasciate dalle Autorità competenti purché:

– ciò avvenga nel rispetto delle quattro «condizioni generali» Eow (ossia: che sostanze e oggetti recuperati siano destinati a essere utilizzati per scopi specifici, abbiano mercato o domanda di riferimento, soddisfino requisiti tecnici per scopi specifici e standard di prodotto, l’uso non comporti effetti negativi per ambiente e salute);

– siano nelle stesse autorizzazioni inclusi dei «criteri dettagliati» per il recupero, elaborati dalle stesse autorità per lo specifico caso, tra cui almeno i cinque mutuati dalla rinnovata direttiva sui rifiuti (ossia: materiali di rifiuto ammissibili, trattamento consentito, qualità dei materiali in uscita; sistemi di gestione del flusso; requisiti della dichiarazione di conformità). Per i rifiuti, invece, che non necessitano delle suddette particolari autorizzazioni «caso per caso» in quanto disciplinati da «criteri specifici» Ue o nazionali (per un elenco si veda ItaliaOggi Sette del 15/7/2019) le autorizzazioni continuano a essere rilasciate dalle stesse autorità unicamente sulla base degli stessi e delle condizioni generali più sopra ricordate.

I principi di diritto della Corte Ue. Con sentenza 24 ottobre 2019 (causa C-212/18) il giudice comunitario si è pronunciato su una delle principali «condizioni generali» che legittimano l’Eow, ossia sull’assenza di effetti negativi per ambiente e salute nell’uso del residuo recuperato. Sulla base del principio di precauzione previsto dall’articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, la Corte di giustizia Ue ha sancito (in relazione a un caso vertente l’utilizzo di un combustibile ricavato dal trattamento chimico di oli vegetali esausti, per alimentare un impianto, in sostituzione del metano) che «se la valutazione dei migliori dati scientifici disponibili lascia persistere un’incertezza in ordine alla questione se l’utilizzo, in circostanze precise, di una sostanza ottenuta dal recupero di rifiuti sia privo di qualsiasi possibile effetto nocivo sull’ambiente e sulla salute umana, lo stato membro deve astenersi dal prevedere criteri di cessazione della qualifica di rifiuto di tale sostanza o la possibilità di adottare una decisione individuale che accerti tale cessazione». In assenza della certezza di effetti negativi su salute e ambiente, emerge dalla pronuncia, nessuna autorizzazione Eow è quindi legittimamente adottabile. Con la pregressa sentenza 28 marzo 2019 (causa C-60/18) la stessa Corte di giustizia Ue aveva sottolineato come le misure adottate sulla base delle norme End of waste «portano alla cessazione della qualifica di rifiuto e, pertanto, alla cessazione della protezione che il diritto che disciplina i rifiuti garantisce per quanto riguarda l’ambiente e la salute umana» per cui esse misure (tra cui evidentemente anche le autorizzazioni) «devono (…) in particolare, tener conto di qualsiasi effetto nocivo possibile della sostanza o dell’oggetto in questione sull’ambiente e sulla salute umana». Con la pronuncia, vertente sul diniego di una autorizzazione «caso per caso» per il recupero di alcuni fanghi di depurazione motivata dalla non assenza di tali effetti nocivi, la Corte Ue ha sancito come in casi del genere (ossia di non comprovata assenza di effetti nocivi) i detentori dei rifiuti non hanno diritto di esigere da autorità competenti o giudici di uno stato membro l’accertamento dell’End of waste dei residui interessati.

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