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Norme più snelle per i combustibili solidi secondari

Il Sole 24 Ore

LE RISPOSTE ALLA CRISI ENERGETICA / 1

Norme più snelle per i combustibili solidi secondari

Roberto Callieri

È sotto gli occhi di tutti: i costi energetici stanno affondando interi settori produttivi. Imprese che chiudono, intere filiere produttive che rischiano di far mancare al Paese prodotti indispensabili. Ora è davvero il momento di utilizzare tutte le risorse che abbiamo a disposizione per alleviare la pesantissima situazione delle famiglie e delle imprese. Dai piccoli risparmi domestici, come spegnere il più possibile la luce e abbassare la temperatura del riscaldamento, fino alle soluzioni che possono mettere le aziende nelle condizioni di poter andare avanti.

In Italia abbiamo una risorsa energetica a chilometro zero, economica, già pronta a essere utilizzata nei forni delle cementerie al posto di prodotti petroliferi: si tratta solo di superare pregiudizi, lentezze burocratiche e di decidere una semplificazione normativa.

Sto parlando dei combustibili solidi secondari (Css), ricavati da quella parte non riciclabile dei rifiuti che oggi come oggi mandiamo in discarica o ancora peggio mandiamo all’estero, pagando altri per farsi carico del problema. Si tratta di materiali non pericolosi come carta e cartoni non riciclabili, tessuti, plastiche che non possono essere rigenerate. Tutti materiali che immessi in modo sicuro e controllato in un ciclo produttivo come quello del cemento possono sostituire i combustibili tradizionali, normalmente importati.

È una soluzione ampiamente utilizzata in tutta Europa, proprio perché sicura, conveniente e vantaggiosa anche in termini ambientali, visto che comporta un considerevole risparmio di CO2. Niente residui, emissioni invariate, con un grande risparmio di combustibili tradizionali e costi di trasporto. In Italia siamo fermi a una sostituzione dei prodotti petroliferi pari al 20%, mentre i Paesi europei più avanzati arrivano a oltre il 60%, a volte anche all’80% se non il 100 per cento. Utilizzare i Css comporterebbe un grande vantaggio per la bolletta energetica del Paese, consentendo all’industria del cemento di recuperare competitività in un momento in cui, tra i costi dell’energia e gli investimenti per la decarbonizzazione, il settore rischia di chiudere i battenti, finendo per impoverire tutta l’industria italiana con immaginabili ricadute sul piano occupazionale.

Occorre una razionalizzazione di una normativa oggi troppo frammentata e complessa. I controlli ci sono e la soluzione si è dimostrata sicura in decenni di esperienza sul campo: è davvero solo una questione di volontà politica e amministrativa che potrebbe almeno in parte alleviare il peso dei costi di produzione di un settore che già molto sta investendo sulla decarbonizzazione.

La produzione di cemento è diventata quasi insostenibile, con costi di produzione aumentati, già a gennaio 2022, di oltre il 50% rispetto al 2021. È la conseguenza dell’impennata dei prezzi di energia e combustibili. Il prezzo del gas metano è aumentato di otto volte in due anni, quello dell’energia elettrica ha toccato massimi storici ed è aumentato, in questi giorni, di quasi 10 volte confronto allo stesso periodo del 2021, il petcoke, principale combustibile utilizzato per la produzione di cemento, ha più che triplicato il suo costo. Se si considera anche la crescita del valore dei diritti di emissione di CO2, si raggiunge un incremento dei costi energetici del 700 per cento.

Così come la crisi energetica, anche la decarbonizzazione ha un impatto notevole per l’industria del cemento. Per raggiungere la carbon neutrality al 2050, saranno necessari investimenti per 4,2 miliardi di euro (oltre a extra-costi operativi di circa 1,4 miliardi annui), ben superiori rispetto a quelli di altri settori energivori. Il nostro settore, infatti, dovrà necessariamente ricorrere a una soluzione tecnologicamente ed economicamente sfidante ovvero la cattura di quelle emissioni direttamente legate alla natura delle materie prime e quindi incomprimibili.

Senza un aiuto concreto, l’industria italiana del cemento è a rischio e dobbiamo tutti chiederci se il nostro Paese può fare a meno di un settore così strategico per l’economia nazionale. La guerra in Ucraina ha messo a nudo la nostra fragilità sul fronte energetico, ma non solo: dal grano ai prodotti per la siderurgia, sono ormai molti i settori in cui la dipendenza dalle forniture estere emerge in tutta la sua pericolosità. L’Italia ha un’industria di primo livello nei materiali per le costruzioni: lasciarla sola davanti a questa crisi significherebbe condannare noi stessi a dipendere da altri Paesi per i materiali con cui costruiamo le nostre case, i nostri ospedali, le nostre infrastrutture.

Presidente di Federbeton Confindustria

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