Rapporto Circular Economy Network: Italia ancora bene ma manca piano strategico

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Rapporto Circular Economy Network: Italia ancora bene ma manca piano strategico

Il Sole 24 Ore

Due milioni di italiani nell’economia circolare

Ronchi: c’è’ il rischio di un arretramento per effetto del coronavirus

Sono quasi due milioni, «177 volte i dipendenti dell’Ilva», i lavoratori impegnati in attività connesse alla bieconomia, che registra in Italia un fatturato di 312 miliardi, il 19,5% del Pil nazionale. In questo dato sono inclusi i settori della produzione primaria (agricoltura, silvicultura, pesca) e i settori industriali che utilizzano risorse biologiche, soprattutto l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco.
Il dato sul peso della bieconomia è nella fotografia più generale dell’economia circolare che ha scattato la seconda edizione del Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia. A realizzare il documento è l Circular Economy Network (Cen), la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, da quattordici aziende e associazioni di impresa e da Enea. Il Rapporto, che Il Sole 24 Ore anticipa, sarà presentato oggi in streaming dal presidente Cen, Edo Ronchi, e dal direttore del Dipartimento sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali dell’Enea, Roberto Morabito.
Da anni l’Italia è nei posti di testa delle classifiche europee sull’economia circolare. .«Siamo partiti con il piede giusto e ancora oggi l’Italia si conferma tra i Paesi con maggiore valore economico generato per unità di consumo di materia», dice Edo Ronchi. L’Italia – dice il Rapporto – di fatto utilizza al meglio le scarse risorse destinate all’avanzamento tecnologico e ha un buon indice di efficienza (per ogni chilo di risorsa consumata si generano 3,5 euro di Pil, contro una media europea di 2,24).
«Ma oggi – aggiunge Ronchi – registriamo segnali di un rallentamento, precedente anche alla crisi del coronavirus, mentre altri Paesi si sono messi a correre». Il riferimento va in particolare a Francia e Polonia.
«In Italia – continua Ronchi – gli occupati nell’economia circolare tra il 2008 e il 2017 sono diminuiti dell’1%. È un paradosso che, proprio ora che l’Europa ha varato il pacchetto di misure per lo sviluppo dell’economia circolare, il nostro Paese non riesca a far crescere questi numeri».
Proprio mentre l’Europa vara un piano Green Deal che consentirà di investire mille miliardi, noi siamo in ritardo con la definizione di un piano complessivo, nonostante le risorse ingenti inserite nella legge di bilancio. Non mancano, d’altra parte, spezzoni di politiche positive che il Rapporto evidenzia, come la ridefinizione del piano Industria 4.0 con maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale e «esplicitamente finalizzato a sostenere gli investimenti green».
Resta il fatto che la penalizzazione maggiore per l’Italia arriva – oltre che dal tema critico del consumo del suolo – proprio dalla scarsità degli investimenti, che si traduce in carenza di ecoinnovazione: siamo all’ultimo posto per brevetti. È lo sviluppo della strategia in ritardo, con criticità sul fronte normativo: «mancano ancora la Strategia nazionale e il Piano di azione per l’economia circolare, due strumenti che potrebbero servire al Paese anche per avviare un percorso di uscita dai danni economici e sociali prodotti dall’epidemia del coronavirus ancora in corso».
E anche sulla presentazione di oggi incombe l’effetto coronavirus .E proprio sull’impatto che la pandemia può avere sullo sviluppo dell’economia circolare, Ronchi ammette il rischio di un arretramento. «Soprattutto – dice vedo il rischio che si perda o si indebolisca la prospettiva strategica. In particolare, qualora le risorse dell’intervento pubblico dovessero essere destinate tutte all’emergenza sanitaria o al sostegno al reddito, anziché agli sforzi per mantenere la qualità delle produzioni».

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