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Riciclo, incentivi (indispensabili) in tre possibili mosse

Greenreport

Riciclo, incentivi (indispensabili) in tre possibili mosse

Certificati del riciclo, certificati bianchi e mercato delle emissioni. L’analisi del Ref ricerche per colmare una lacuna storica nell’economia circolare del nostro Paese

Quando si parla di economia verde in Italia s’incentiva di tutto tranne il riciclo, tapino tra le filiere sostenibili delle quali in realtà sarebbe tra le più importanti. Per questo da tempo tutti gli operatori del settore, ma anche gli ambientalisti, spingono e chiedono al governo che vari almeno una tra le tante forme possibili di “aiuto” per spingere l’economia circolare. Nel merito è arrivata un’interessante proposta dal laboratorio Ref ricerche, con una tripla proposta a partire dal riciclo degli imballaggi, che però è bene ricordare rappresentano l’8% circa di tutti i rifiuti che produciamo.

Ma facciamo un passo indietro, il riciclo degli imballaggi è un settore che ha l’obiettivo di recuperare la materia (evitando il consumo di nuove risorse naturali), trasformarla in prodotto e reimmetterla sul mercato. Il cerchio dunque si chiude se la materia prima seconda è di qualità e se la trasformazione è vantaggiosa in quanto i prodotti che si ottengono stanno sul mercato.

Ad esempio, in buona sostanza serve che la plastica riciclata sia più conveniente per una serie di ragioni (ambientali ed economiche) rispetto alla materia vergine, perché diversamente il mercato non la assorbe. Per fare questo è sempre più necessario che il Governo, come ha fatto con l’energia rinnovabile, introduca degli incentivi, perché diversamente non decollerà mai.

Incentivi che, come spiega il Ref, sono necessari anche per la costruzione degli impianti funzionali al riciclo di cui c’è una grande carenza, ma che possono essere realizzati solo se hanno la possibilità di reggere sul mercato in una logica di prospettiva.

L’alternativa è stata finora quella di costringere gli operatori a percorrere la via della “green economy” nel riciclo solo attraverso divieti e sanzioni, ma da tempo è chiaro a tutti che la strada da percorrere, e lo conferma il Ref, è quella degli incentivi in quanto “sono in grado di guidare meglio gli operatori verso i comportamenti che accrescono il benessere sociale, disincentivando quelli che causano impatti negativi per l’ambiente”.

Una logica – spiega sempre il Ref – in linea con l’impostazione indicata dal Recovery fund che chiede agli Stati europei di affiancare al sostegno economico offerto dal bilancio dell’Unione le opportune riforme.

Ed ecco le proposte nello specifico. La prima è mutuata sul meccanismo di incentivazione alla produzione di biometano avanzato che, spiega il Ref, “potrebbe essere esteso alle filiere del riciclo dei rifiuti di imballaggio”, sottoposte al pari dei biocarburanti ad obblighi specifici di derivazione comunitaria, introducendo dei “Certificati del riciclo” (Cdr, anche se sarebbe preferibile un acronimo che non richiami il combustibile da rifiuti).

Questi titoli in sostanza attesterebbero il riciclo di una tonnellata di rifiuto di imballaggio di una certa qualità e materiale e sarebbero liberamente negoziabili in un mercato regolamentato, con prezzi però che si muoverebbero in controtendenza rispetto a quelli delle materie prime, offrendo all’industria del riciclo italiana “quella stabilità di prospettive di ricavo necessaria all’avvio degli impianti”, di cui parlavamo in precedenza.

Lo strumento dei Cdr – anche se sarebbe forse utile un acronimo diverso in quanto questo richiama da decenni il combustibile da rifiuti e potrebbe creare dei grossi equivoci nella comunicazione – potrebbe essere disciplinato da un attore istituzionale, quale ad esempio il Gse (o magari dall’Enea, aggiungiamo noi, che è già attiva su più fronti dell’economia circolare).

Per quanto concerne, invece, i flussi di rifiuto non coperti da obblighi specifici di responsabilità estesa del produttore, come ad esempio i giocattoli o le plastiche non da imballaggio, il Ref propone un secondo strumento incentivante: l’estensione del meccanismo dei certificati bianchi.

Se è vero, infatti, che ad oggi questi titoli negoziabili comprovano l’efficienza energetica, sarebbe auspicabile estenderne l’ambito di applicazione a dimostrare l’efficienza energetica ed ambientale che origina dall’impiego di materie prime seconde in sostituzione delle materie prime vergini, come del resto documentato in numerosi studi di Life cycle assessment (Lca).

Terzo possibile strumento è infine rappresentato dalle “novità che potrebbero arrivare anche dall’European union emissions trading scheme” (Eu Ets)”.

Riconoscendo che le emissioni di gas climalteranti legate alla produzione di materie prime seconde sono inferiori, spiega il Ref, questo “potrebbe renderle più appetibili per i settori industriali: il loro utilizzo va infatti a ridurre i costi diretti (quote) e indiretti (trasferimento del costo della CO2 nei prezzi dell’energia pagati dagli operatori industriali) per conformarsi agli obblighi di legge.

Un’eventualità da tenere in considerazione alla luce del fatto che il sistema Eu Ets sta entrando nella fase 4, dove i requisiti ambientali e i meccanismi regolatori del sistema diventeranno decisamente più stringenti, alla luce dei nuovi e più ambiziosi obiettivi climatico-ambientali da traguardare.

Tre proposte interessanti, quelle del laboratorio Ref, che si affiancano alle altre già in agenda da anni: aliquote Iva più basse per i prodotti contenenti materiale riciclato; l’imposizione di contenuti minimi obbligatori di materiali da riciclo (specie plastica e carta) nei prodotti; il rafforzamento del Green public procurement (Gpp) e dunque degli acquisti verdi da parte delle Pa, che da soli potrebbero offrire un mercato da 170 miliardi di euro l’anno.

Tenendo conto di una cosa che vale sopra a tutto il resto: senza incentivi, almeno partendo da uno dei tanti possibili, il riciclo è destinato a restare al palo.

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