Allarme rosso: gli inceneritori non ce la fanno. Pericolo di infezioni dai rifiuti ospedalieri

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Allarme rosso: gli inceneritori non ce la fanno. Pericolo di infezioni dai rifiuti ospedalieri

Il Giornale

Il paradosso del sistema che li sterilizza: è italiano, ma in Italia non si usa
Marco Lombardo
Il virus Covid-19 viaggia anche attraverso i materiali. E materiali, nonché i liquidi, sono anche i rifiuti,
soprattutto quelli a rischio infettivo. Quelli ospedalieri e quelli provenienti dalle zone rosse e da persone
positive o in quarantena. Domanda: che fine vanno? Risposta: vengono bruciati nei termovalorizzatori.
Aumentando il pericolo di diffusione del virus. Ecco perché.
In Italia esiste il Dpr 254/2003, che regola lo smaltimento in questione. «E i rifiuti ospedalieri spiega Paolo
Tuccitto, manager specializzato che ha inventato il sistema di inertizzazione dell’amianto – hanno un
trattamento a parte. Per intenderci: ogni anno le tonnellate smaltite sono centinaia di migliaia». Figuriamoci
adesso. Il pericolo insomma è che gli impianti a cui vengono destinati siano già impossibilitati a gestire il
traffico di materiale così pericoloso. Anche perché in Italia c’è solo un’39;azienda che se ne occupa: la Eco
Eridania di Genova. Il cui presidente Andrea Giustini ha lanciato l’allarme: «Ci sono alcune Regioni che
stanno attivando procedure pericolose, declassando le materie che provengono dalle abitazioni di soggetti
positivi a rifiuti urbani. Il rischio è altissimo». In pratica: i prodotti di scarto a rischio infettivo aumentano in
maniera esponenziale e vengono raccolti in maniera impropria. E in numero comunque insufficiente per la
capienza degli inceneritori. Spiega ancora Tuccitto: «Ci sono impianti che si scambiano tonnellate di
materiale da una regione all’altra. E c’è un inceneritore in Emilia che è stato chiuso per valori di legionella
oltre i limiti. Eppure il sistema per aiutare lo smaltimento c’è, ed è più economico e pulito».
Ci sono altre aziende infatti impegnate in questo settore. E una di queste, la Newster che ha sede a
Cerasolo di Coriano (Rimini), ha un brevetto made in Italy per macchine che distruggono tutti i tipi di
materiale a rischio: solido, liquido e liquido da laboratorio (il più pericoloso in assoluto). Spiega
l’amministratore unico Andrea Bascucci: «Il rifiuto ospedaliero non può restare più di 5 giorni nei cassonetti.
Poi va portato via. Le nostre macchine italiane invece creano un prodotto sterile, ridotto di peso del 15% e di
volume dell’80. E può restare nei container fino a 28 giorni. Per poi essere destinato al recupero energetico
come combustibile». Basterebbe averne in ogni ospedale: «La capienza va da 15 chili fino a 120/130. E il
costo rifiuti passa da 1,7 a 0,5-0,6 euro al chilo». Qualcuno ha fatto i conti: per la Sanità italiana il risparmio
stimato sarebbe di circa 300 milioni l’anno. «E c’è di più: analisi di laboratorio dimostrano che il composto
ottenuto può essere mescolato al cemento per fini edili. Lo Zimbabwe ci ha già dato via libera». Già, perché
Newster esporta la tecnologia in 50 Paesi del mondo. Ma non – e qui è il paradosso – in Italia e nelle nazioni
evolute d’Europa. Conclude Tuccitto: «Se le zone rosse dovessero estendersi sarebbe il collasso. E se quei
rifiuti si smaltiranno con quelli normali, si aggiungerà rischio a rischio: la produzione di diossina dell’aria».

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