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Arera, nel settore rifiuti ancora troppo frammentata la governance

Investire nell’economia circolare per ridurre i prezzi delle materie prime

Utilitalia: in Europa attesa una riduzione del 10% dei costi delle materie prime al 2025. Le utility italiane mettono già oggi in campo investimenti per 280 milioni di euro all’anno

Il rimbalzo economico che sta seguendo la profonda crisi innescata dalla pandemia ha riportato dolorosamente a galla le storiche difficoltà che l’Europa, e l’Italia in particolare, si trovano ad affrontare sul mercato delle di materie prime: non è semplice, soprattutto per realtà a vocazione manifatturiera come la nostra, dipendere in larghissima parte dall’export per gli approvvigionamenti, soprattutto in un contesto come quello odierno dove il prezzo delle commodity è alle stelle.

Tra i principali – e più sostenibili – strumenti che abbiamo a disposizione per affrontare questa criticità c’è quello di ricorrere alle nostre miniere urbane, i rifiuti. Come documenta Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) nel suo position paper Utilities protagoniste della transizione ecologica: le sfide dell’economia circolare, gli investimenti nell’economia circolare possono arrivare a sbloccare «fino a 356 miliardi di euro al 2025 in Europa, con effetti anche sulla riduzione del 10% dei costi delle materie prime (fino al 12% in meno al 2050). Il potenziale complessivo potrebbe essere un incremento del Pil del 7% al 2030». In Italia a che punto siamo?

Concentrandosi su un campione rappresentativo dell’84% dei ricavi complessivi e del 77% dei lavoratori del settore, che interessa circa 21 milioni di cittadini, il position paper documenta che le imprese dei servizi pubblici italiane che fanno capo a Utilitalia garantiscono già oggi investimenti per 280 milioni di euro all’anno nell’economia circolare, con un livello di raccolta differenziata che si attesta al 69% (contro una media italiana del 61%) e un tasso smaltimento in discarica decisamente più basso della media nazionale (4% vs 21%).

I benefici di un approccio “circolare” – mostra il report – vanno ben al di là della raccolta e della gestione dei rifiuti: nell’idrico ci sono opportunità legate al riutilizzo delle acque reflue depurate, al recupero e al riutilizzo dei fanghi di depurazione e al revamping degli impianti per migliorarne l’efficienza.

Ma per sfruttare al meglio le potenzialità dell’economia circolare sono necessarie azioni congiunte che coinvolgono le utility e i decisori pubblici. Da un lato, le utility sono chiamate ad adottare programmi che rendano più circolare il proprio business, dotarsi di strumenti di misurazione puntuale, migliorare le performance di riciclo e partecipare a piattaforme di collaborazione per lo sviluppo di progetti condivisi.

Dall’altro lato, i policy maker devono approntare una Strategia nazionale per l’economia circolare e una roadmap per lo sviluppo di impianti di trattamento dei rifiuti; servono inoltre una revisione della disciplina dell’End of waste, l’estensione del campo di applicazione della Responsabilità estesa del produttore a nuove filiere di rifiuti e infine l’incentivazione dello sviluppo del biometano.

Senza dimenticare che anche la frammentata governance nel settore rifiuti resta una delle criticità da affrontare, come sottolinea la Relazione annuale Arera 2021, presentata oggi alla Camera.

Dettagliando lo stato dei servizi pubblici nel nostro Paese, l’Arera informa che a maggio 2021 risultano iscritti all’Anagrafica operatori dell’Autorità 7.470 soggetti, con un incremento di circa il 14% rispetto all’anno precedente, di cui 7.253 iscritti come gestori, nell’87,4% dei casi enti pubblici e nel 12,6% gestori con diversa natura giuridica. In particolare, rispetto all’anno precedente si osserva un incremento significativo (pari a circa il 62%) dei soggetti iscritti come Enti territorialmente competenti (Etc). A conferma della complessità e della frammentarietà della governance di settore, si rileva, inoltre, un numero ridotto di Enti di governo dell’ambito (poco meno di 60), a fronte di un numero molto elevato di Enti territorialmente competenti (3.523), coincidenti nel 98% dei casi con i Comuni.

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