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Compost, Centemero: “Cittadini la parte più importante del sistema”

La Nuova Ecologia

Il direttore del Cic (Consorzio italiano compostatori) commenta i dati dell’ultimo studio realizzato con Corepla sulla presenza di imballaggi in plastica e bioplastica compostabile negli impianti di riciclo organico. E lancia un appello: “Mettiamo le comunità nelle condizioni di fare correttamente il proprio dovere e, soprattutto, di vederne i risultati”

Compost raccolta

Sul fronte della differenziazione e del riciclo dei rifiuti l’Italia continua ad andare a velocità sostenuta, confermandosi in testa per il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Ue con il pacchetto economia circolare. Dati significativi sull’andamento del settore sono emersi dallo studio, presentato a inizio luglio, da Cic (Consorzio Italiano Compostatori) e Corepla (Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica), incentrato sulla presenza di imballaggi in plastica e bioplastica compostabile negli impianti di riciclo organico. A dare un quadro complessivo di quanto di buono si sta facendo nel nostro Paese, così come delle criticità ancora da risolvere, è il direttore del Cic Massimo Centemero.

Massimo Centemero, direttore del Cic

A livello generale che immagine emerge dell’Italia che differenzia e ricicla dallo studio realizzato da Cic e Corepla?

Complessivamente emerge l’immagine di un’Italia impegnata e di cui dobbiamo essere fieri anche e soprattutto rispetto all’andamento di altri paesi europei. Quindi, se ci riferiamo unicamente al settore del “riciclo organico”, il quadro evidenzia come l’Italia sia un paese virtuoso per la quantità di rifiuto intercettata, per l’efficienza dei sistemi di raccolta, per le rese produttive e per l’innovazione tecnologica. Dobbiamo tuttavia ricordarci che abbiamo di fronte anche un paese a due velocità con una cronica mancanza di impianti soprattutto nelle regioni del centro-sud”.

Dallo studio che indicazioni arrivano per i consorzi affinché possano promuovere in modo sempre più efficace la corretta modalità di differenziazione sia degli imballaggi in plastica tradizionale che di quelli in plastica biodegradabile e compostabile?

Quello della plastica compostabile in particolare è un tema molto delicato perché, se da un lato si introducono sul mercato manufatti prodotti con quote sempre maggiori di materiali da fonti rinnovabili, dall’altra si rileva come il mercato corre molto più velocemente dell’industria del riciclo, e il rischio è che gli impianti vengano sommersi da una quantità di manufatti compostabili ingestibile. Per questo i consorzi devono lavorare insieme ed essere supportati, anche economicamente, per garantire l’innovazione tecnologica oltre che per migliorare la qualità delle raccolte differenziate e per realizzare nuovi impianti, fondamentali per avviare realmente al riciclo il rifiuto raccolto.

L’indagine ha consentito, tra le altre cose, di avere un quadro aggiornato sulle abitudini degli italiani in relazione ai sacchi e ai sacchetti utilizzati per il conferimento della frazione umida. Che tendenza emerge sotto questo aspetto?

Ci sono due aspetti importanti da evidenziare. Il primo è che c’è stato un incremento di presenza di sacchetti compostabili, il che è ovviamente positivo. Dall’altro lato però, la presenza di sacchetti in plastica è ancora troppo elevata. Fa specie notare come il 21% dei sacchetti utilizzati per raccogliere l’umido sia rappresentato dai classici sacchetti per l’indifferenziato (dai comuni sacchi neri agli altri sacchi di vari colori e dimensioni) chiaramente non compostabili.

Uno degli elementi critici che emerge dallo studio è l’aumento della presenza dei materiali non compostabili (Mnc), di cui le plastiche tradizionali rappresentano il 60%, nelle raccolte differenziate degli scarti di cucina e giardino. Quali sono gli effetti negativi che questo elemento provoca sull’intera filiera in termini di costi per lo smaltimento?

L’aumento della presenza dei materiali non compostabili è molto limitato: si passa da un 4,9%, emerso dalla campagna del 2017, all’attuale 5,2%. Però è un segnale che non va sottovalutato e vanno prese le dovute precauzioni. Un valore intorno al 95%% di purezza merceologica è ancora un dato accettabile, ma dobbiamo essere consapevoli che si tratta di un dato medio: ci sono infatti comuni che conferiscono l’umido con una purezza vicina al 100% ed altri che, per diversi motivi, non garantiscono una qualità accettabile. Ciò comporta un maggiore costo di trattamento, una minor resa di riciclo e, soprattutto, l’elevato rischio (che si è già palesato in alcune situazioni), di non accettazione/rigetto del rifiuto conferito.

A livello politico, quali sono le priorità su cui Governo e soggetti istituzionali preposti dovrebbero concentrarsi per rendere sempre più efficiente e sostenibile la filiera di cui siete protagonisti?

Il ruolo dello Stato è decisivo in questa battaglia per far rispettare le norme vigenti, ma anche perché dovrebbe stanziare quei fondi necessari per sviluppare campagne di sensibilizzazione e comunicazione che sono fondamentali per i territori e le comunità. I cittadini sono la parte più importante di tutto il sistema e abbiamo il dovere di metterli nelle condizioni di fare correttamente il proprio dovere e, soprattutto, di vederne i risultati. Gli impianti effettuano oggi il monitoraggio della qualità dei rifiuti in modo del tutto volontario: si dovrebbe invece prevedere un obbligo di analisi merceologiche in ingresso agli impianti e un impegno decisivo per finanziare campagne comunicative su tutto il territorio nazionale. Ciò significa intervenire sia a livello centrale che periferico con strumenti normativi ed economici; per esempio introducendo il concetto di qualità nei Criteri Ambientali Minimi per i rifiuti organici, oppure introdurre criteri di premialità per le raccolte virtuose o, ancora, prevedere una opportuna riallocazione dei proventi dell’ecotassa. Anche un rapporto strutturato con gli altri consorzi di filiera consentirebbe di monitorare costantemente l’evoluzione qualitativa di tutti i flussi, così da poter intervenire su eventuali criticità, anomalie o imperfezioni.

Dal punto di vista macroscopico, parlando di Green New Deal, quali potrebbero essere gli interventi di politica-economica per valorizzare il settore del riciclo organico?

Oltre ai già citati fondi per “strutturare” il sistema del riciclo organico Italia, ne cito uno su tutti che rappresenterebbe una vera e propria innovazione relativamente all’approccio al tema della decarbonizzazione. Considerando il suolo come serbatoio di carbonio (in grado cioè di stoccare carbonio, sottraendo indirettamente anidride carbonica all’atmosfera), una delle azioni più auspicabili sarebbe quella di individuare strumenti (dagli incentivi economici alle pratiche di defiscalizzazione), che possano consentire di aumentare il contenuto di carbonio nei suoli agricoli (o, almeno, di attenuarne le perdite). Il “buon governo” della dotazione di sostanza organica dei suoli italiani può essere garantito sia da operazioni conservative legate alla gestione della fertilità (lavorazioni, rotazioni, pratiche colturali conservative, ecc.) sia da apporti di sostanza organica di origine naturale (letami, liquami, ammendanti compostati, ecc.), promuovendo la produzione e l’impiego di fertilizzanti rinnovabili. Dunque, il mantenimento, la conservazione o l’arricchimento del contenuto in carbonio nei suoli, deve essere promosso con il duplice obiettivo di garantire una elevata fertilità organica dei suoli, per soddisfare una altrettanto elevata produttività agricola e forestale, e di contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Una bella sfida, un lavoro gigantesco, che contribuirebbe ad unire alcuni comparti alcune volte in conflitto, pensiamo ai binomi città e campagna, industria e agricoltura, economia ed ecologia.

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