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Ecoforum, sull’economia circolare c’è un gap di fiducia da colmare per imprese e istituzioni

Greenreport

A Roma la X edizione della kermesse di Legambiente, La nuova ecologia e Kyoto club

Ecoforum, sull’economia circolare c’è un gap di fiducia da colmare per imprese e istituzioni

Ciafani: «Norme farraginose, autorizzazioni lente, controlli pubblici a macchia di leopardo, progetti calati dall’alto non aiutano a farla decollare»

L’economia circolare, intesa come un modello industriale basato sul riutilizzo delle risorse e alla riduzione al minimo degli scarti – puntando su loro uso per la creazione di nuove materie prime – è una realtà che sembra sempre più nota al pubblico italiano, ma che sconta ancora un gap di fiducia che non le permette di spiccare il volo.

Uno spaccato che emerge dalla X edizione dell’Ecoforum, la conferenza nazionale sull’economia circolare – in corso a Roma fino al 6 luglio – organizzata da Legambiente, La nuova ecologia e Kyoto club, che si è aperta oggi con la presentazione del sondaggio Ipsos “L’Italia e l’economia circolare”, una ricerca realizzata anche grazie al Conou.

Il sondaggio mostra che il 45% degli italiani (+4% sul 2022) si dichiara come un “conoscitore” di principi dell’economia circolare, ma ancora una volta basta grattare un poco sotto la superficie dell’apparenza per scoprire molte lacune in questa auto-percezione.

Nonostante si parli di economia circolare come un modello industriale, in linea con quanto emerso dell’Ecoforum dell’anno scorso (solo il 26-36% degli italiani vuole più impianti di riciclo) e da quello dell’anno prima ancora (se proprio servono nuovi impianti, che vengano realizzati almeno da 10 km di distanza), persiste un’ampia sfiducia verso la gestione dei rifiuti da parte di imprese e istituzioni.

Le famiglie e gli individui sono considerati i soggetti più virtuosi rispetto allo smaltimento dei rifiuti (71%, dato che sale al 78% tra i “conoscitori” dell’economia circolare), staccando largamente sia il settore pubblico (65%, 73%) sia imprese e industrie (59%, 65%).

Ma le famiglie neanche smaltiscono i rifiuti, semmai sono chiamati a differenziarli correttamente per poi affidarli a una filiera di gestione industriale. Una lacuna non solo semantica: basti osservare come viene fatta la raccolta dell’organico (Forsu), la frazione più pesante della differenziata.

Secondo i dati forniti da Ispra e rielaborati da Legambiente, nel 2021 sono stati trattati 8,3 milioni di tonnellate di materiale di materiale organico e di queste ben il 17% (1,4 milioni di tonnellate) è risultato essere un materiale di scarto.

Negli impianti, nell’11% dei casi è arrivato materiale con una percentuale di scarto superiore al 50%, nel 57% gli scarti hanno rappresentato tra il 5 e il 50%. Solo in un impianto su quattro lo scarto della frazione organica è stato inferiore al 2,5%, quantità massima ottimale che permette di ottenere compost di qualità in uscita dagli impianti.

Oppure si guardi all’olio minerale (lubrificante) esausto: solo il 46% sa che viene raccolto (53% tra i “conoscitori”) e appena il 22% crede che possa essere rigenerato. Al contrario, l’esperienza Conou documenta che già oggi viene rigenerato il 98% di tutto l’olio esausto raccolto in Italia.

Ancora una volta, il sondaggio Ipsos documenta l’urgente necessità di investire in buona comunicazione sull’economia circolare: una volta informati, i cittadini che non ne sono a conoscenza che l’olio minerale esausto raccolto può essere completamente rigenerato e riutilizzato, quasi 1 italiano su 2 vede in questa pratica un supporto all’indipendenza energetica del Paese.

«L’Italia vanta molti record sull’economia circolare – commenta Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto club – ci sono però due problemi. Il primo è che spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto e non li valorizziamo abbastanza. Il secondo è che sono record ottenuti dal vitale sistema economico italiano senza essere appoggiati da una visione politica generale lungimirante. Ciò mette a rischio quegli stessi record».

Che fare? Legambiente e Kyoto club sollecitano il ministero dell’ambiente a intervenire su cinque priorità: implementare la capacità impiantistica di riciclo e riuso; applicare il principio “chi inquina paga” per disincentivare lo smaltimento in discarica; attivare politiche industriali strutturate a supporto delle imprese che già investono o che vogliono investire in questa direzione; supportare dal livello centrale gli enti locali destinatari dei finanziamenti del Pnrr; costruire una filiera nazionale di approvvigionamento delle materie prime critiche, dando priorità al riciclo dei Raee.

«Norme farraginose, autorizzazioni lente, controlli pubblici a macchia di leopardo, progetti calati dall’alto non aiutano a far decollare l’economia circolare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Servono mille nuovi impianti di economia circolare e progetti innovativi che vadano nella giusta direzione», conclude Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente.

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