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Finalmente una regola unica che separa Comuni e privati

Il Sole 24 Ore

L’ANALISI

Finalmente una regola unica che separa Comuni e privati

Stefano Pozzoli

Il decreto sull’economia circolare (Dlgs 116/2020) introduce novità interessanti in materia di rifiuti urbani e di Tari.

La prima novità, fondamentale, è la abrogazione dei rifiuti assimilati agli urbani, la cui individuazione e definizione erano, fino a oggi, affidate alla discrezionalità dei Comuni. Questo emerge dalla lettura dei due allegati riportanti i codici rifiuti e l’elenco delle categorie economiche, che circoscrive i rifiuti urbani non di produzione domestica. Una scelta a nostro modo di vedere corretta, perché consente di semplificare e di standardizzare le categorie di rifiuti di cui si parla, e favorisce omogeneità e chiarezza in argomento.

Il legislatore ha dunque seguito una strada condivisibile. La situazione era francamente irragionevole, e aveva portato a una polverizzazione delle regole incompatibile con l’attuazione di una politica nazionale e industriale della materia. In sostanza, è una scelta in continuità coerente con la decisione di rafforzare gli ambiti territoriali ottimali e con l’istituzione di un regolatore nazionale quale è Arera.

Una seconda novità, conseguente alla prima, riguarda la modifica dell’articolo 238, comma 10, riferito alla tariffa. L’intento è certo quello di motivare gli operatori economici a svolgere una più attenta raccolta differenziata, rendendo quest’ultima potenzialmente più vantaggiosa, visto che la raccolta e l’utilizzo di questi materiali è l’essenza stessa dell’economia circolare.

Tutto ciò si inserisce nell’ambito di un percorso avviato da Arera con la delibera n. 443/2019, che ha licenziato il nuovo metodo tariffario per rifiuti. Una delle innovazioni proposte, si ricorderà, è il fattore di sharing, teso a riconoscere alle società dei rifiuti una quota parte dei proventi della vendita di materiale ed energia derivante da rifiuti. La finalità dello sharing è proprio quella di spingere la società dei rifiuti a dedicare attenzione a quantità e qualità dei rifiuti differenziati e al loro valore di vendita.

La nuova formulazione del comma 10 è certamente più intelligibile della precedente, ma nella realtà non innova se non nel senso di un maggior rigore. L’utente non domestico, a differenza di prima, si vedrà costretto a optare tra il ricorso al servizio privato o al gestore pubblico per almeno 5 anni, salvo poi poter sempre lasciare il “privato” per rientrare nel pubblico, ma non fare il contrario. Secondo la normativa previgente, invece, l’operatore poteva affidare i propri rifiuti «assimilati» a recupero a un soggetto privato, e ottenere dal Comune una riduzione della quota variabile della Tari (articolo 238, comma 10, Dlgs 152/2006), proporzionale alla quantità prodotta, senza però alcun vincolo temporale. E già oggi non è raro che ricorrano a questa opzione le aziende della grande distribuzione e della logistica.

Vedremo quali saranno gli effetti della nuova disposizione, consapevoli però che saranno certamente graduali e che dipenderanno, più che dalla norma, dalle condizioni di mercato, ovvero dalla convenienza degli utenti non domestici a seguire una strada certo più complessa di quella tradizionale, e che troverà giustificazione solo in un vantaggio economico o in una migliore qualità del servizio.

Sul piano della tariffa gli effetti, comunque, dovrebbero risultare modesti e diluiti nel tempo, visto che un’eventuale correzione si dovrebbe poter avere solo sulla parte variabile (che vale circa il 50% del gettito complessivo) e che l’eventuale trasferimento di raccolta riguarda solo le utenze non domestiche, che a loro volta contribuiscono per circa la metà di questa quota.

C’è da sperare, piuttosto, che la riforma favorisca processi di industrializzazione e porti a un ulteriore aumento della raccolta differenziata e ad un suo conveniente utilizzo. La qual cosa ci renderebbe anche un po’ più autonomi dalle esportazioni, cosa che la pandemia ci ha insegnato ad apprezzare.

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