Il Sole 24 Ore
Industria del riciclo in crescita con il Covid
La raccolta di imballaggi è in progresso del 7%, boom della plastica differenziata
L’emergenza sottolinea le carenze nell’impiantistica per il trattamento
Enrico Netti
La raccolta differenziata in Italia riesce a battere la pandemia e nei primi mesi del 2020 mette a segno un +7% nella raccolta di imballaggi, con circa un +6% per quelli in vetro e plastica e un +10% per quelli in carta, cartone e +18% per acciaio mentre accusano una flessione superiore al 10% i conferimenti presso le isole ecologiche di rifiuti elettrici ed elettronici e del legno. Nel complesso il primo quadrimestre si chiude con un +7% della raccolta imballaggi grazie a 1,6 milioni di tonnellate contro i 1,5 milioni dello stesso periodo del 2019. Il Consorzio nazionale imballaggi (Conai) per quest’anno prevede un aumento del 5% dei conferimenti per tutte le categorie con le sole eccezioni dell’alluminio, dovrebbe calare di un quinto, e del legno atteso in calo dell’8 per cento. Verranno così raccolte, secondo le previsioni Conai, quasi 5,3 milioni di tonnellate di imballaggi con un +5% rispetto ai 5 milioni dello scorso anno.
È quanto rivela il report 2020 «L’Italia del riciclo» realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e da Fise Unicircular (l’Unione imprese economia circolare) presentato oggi in streaming.
Il settore potrebbe beneficiare dei fondi Ue del Recovery fund per finanziare la ricerca e l’innovazione, in particolare per il trattamento delle plastiche miste e di alcuni Raee, e per finanziare quell’innovazione volta a migliorare la riciclabilità dei prodotti. Un’altra via è aumentare l’impiego dei materiali riciclati al posto di quelli vergini.
Se la raccolta nel complesso procede abbastanza bene le difficoltà si riscontrano nell’utilizzo delle materie prime seconde. Il rapporto evidenzia la riduzione degli sbocchi verso l’estero dovuti a rallentamenti doganali mentre la domanda interna registra un blocco a causa dell’emergenza sanitaria che ha colpito settori produttivi, come l’edilizia e l’automotive, che in condizioni normali assorbono i materiali riciclati. Per finire il crollo dei prezzi di alcune materie prime vergini le ha rese molto più convenienti. In più c’è stato un rallentamento e a volte il taglio di investimenti programmati nel settore. Trend che dovrebbe continuare anche nel futuro.
«È necessaria la rapida definizione dei decreti nazionali per le diverse filiere end of waste (quando il rifiuto perde questa qualifica e può essere reimpiegato ndr) e la semplificazione delle procedure di controllo sulle autorizzazioni end of waste, caso per caso – spiega Paolo Barberi, presidente di Fise Unicircular -. L’emergenza ha evidenziato alcune carenze di dotazione impiantistica e la necessità, per alcune tipologie di rifiuti come le plastiche miste e alcuni rifiuti elettronici, di nuove tecnologie di riciclo. Il sistema italiano del riciclo può affrontare i nuovi e più ambiziosi target europei per l’economia circolare purché si facciano ulteriori sforzi per migliorare la qualità delle raccolte, venga promosso l’uso dei prodotti circolari e siano recuperati i ritardi e le carenze in alcune zone del paese».
Si dovrà inoltre intervenire per spingere la domanda dei materiali ottenuti con il riciclo rafforzando il ricorso a prodotti e beni riciclati negli acquisti pubblici verdi e introducendo l’obbligo, per determinati prodotti e opere, di un contenuto minimo di riciclato. Scelte che anticipano le azioni previste dal nuovo Piano europeo sull’economia circolare.
Un altro nodo è rappresentato dai costi di acquisto dei beni circolari ma spesso non vengono considerati i reali vantaggi e i relativi costi anche ambientali. Una via potrebbe essere un contributo ambientale o manovrando le leve della fiscalità per spingere all’impiego dei prodotti circolari. «Per sviluppare l’economia circolare, favorire l’innovazione e nuovi investimenti sarebbe molto utile ridurre i tempi troppo lunghi per le autorizzazioni di attività di riciclo di rifiuti che generano prodotti end of waste – aggiunge Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile -. Queste attività autorizzative sono affidate alle regioni e oggi sottoposte ad un doppio regime di controllo a campione, non previsto dalle direttive europee e non richiesto in nessun altro paese europeo».