La pandemia porta a galla le criticità nell’Italia del riciclo

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Greenreport

Presentato l’11° rapporto Unicircular e Fondazione per lo sviluppo sostenibile

La pandemia porta a galla le criticità nell’Italia del riciclo

La raccolta differenziata cresce mentre crolla la richiesta di materie prime riciclate, mancano gli impianti per organico e frazioni non riciclabili: l’economia circolare italiana a rischio cortocircuito

Senza sbocchi di mercato per i materiali riciclati, e senza impianti per gestire le frazioni non riciclabili – oltre naturalmente ai nuovi scarti che anche la migliore economia circolare continuerà a produrre – l’Italia del riciclo rischia di affondare nell’immobilismo: è la dura lezione che il nostro Paese si è visto improvvisamente impartire dalla pandemia, dopo averne ignorato i segnali per anni, come mostra il report presentato oggi da Unicircular (l’unione delle imprese attive nell’economia circolare) e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

Come già messo in evidenza dalla relazione Conai, il rapporto L’Italia del riciclo 2020 conferma che nel corso del 2019 è migliorato l’avvio a riciclo degli imballaggi, ma occorre ricordare che questa pur visibilissima frazione – è lei insieme all’organico la protagonista della raccolta differenziata che esce dalle nostre case, insieme all’organico – rappresenta appena l’8% di tutti i rifiuti prodotti nel nostro Paese. Poi è arrivata la pandemia ad impattare sulla filiera intera del recupero e dello smaltimento.

A seguito dell’indagine condotta tra settembre e ottobre 2020, rivolgendosi a un campione composto da imprese, consorzi di filiera, utility, associazioni di categoria e altri soggetti, l’11a edizione de L’Italia del riciclo fornisce una prima panoramica degli effetti sortiti da Covid-19 sul comparto: hanno tenuto le raccolte differenziate degli imballaggi domestici, in calo l’organico per il crollo della ristorazione e del turismo, in calo i rifiuti speciali di origine industriale, delle costruzioni e del commercio.

Più nel dettaglio, sommando i dati dei primi 4 mesi del 2020, compresi quindi circa due mesi di lockdown, si è registrato – rispetto allo stesso periodo del 2019 – un +7% nella raccolta differenziata dei rifiuti d’imballaggio domestici anche per l’aumento del commercio on-line, con un aumento del 5-6% per quelli in vetro e in plastica e del 10% per quelli in carta e acciaio, mentre sono risultati stabili quelli in alluminio. Riduzioni importanti (superiori al 10%) hanno subito, invece, tutte le filiere collegate ai conferimenti presso le isole ecologiche (Raee e imballaggi in legno) e quelle legate alle attività industriali e commerciali (solventi, oli minerali usati, pneumatici fuori uso, oli e grassi animali e vegetali esausti).  Durante il lockdown anche il rifiuto organico è diminuito di circa il 15%: l’aumento del rifiuto domestico è stato controbilanciato dalla diminuzione di quello da utenze collettive (mense, ristoranti, pubblici esercizi).

In ogni caso il settore della gestione rifiuti ha mostrato resilienza, evitando situazioni emergenziali con rifiuti dispersi in strada, perché le utility hanno continuato a svolgere il loro ruolo nei servizi pubblici essenziali raccogliendo la nostra spazzatura. I problemi sono iniziati nella fase successiva, perché naturalmente non basta suddividere i rifiuti in tanti sacchetti per farli magicamente sparire.

Nei mesi della pandemia le ripercussioni più pesanti si sono infatti registrate su altri due fronti, come peraltro già messo in evidenza da altre analisi (ad esempio quiqui e qui): la riduzione degli sbocchi esteri (chiusure e rallentamenti doganali) e di quelli nazionali per via del blocco/crisi di alcuni settori produttivi (ad esempio l’automotive e l’edilizia) ha determinato un crollo della richiesta di materie prime riciclate e una maggiore competizione da parte delle materie prime vergini per il crollo dei loro prezzi.

«Si facciano ulteriori sforzi – dichiara Paolo Barberi, presidente Unicircular – per migliorare la qualità delle raccolte e di conseguenza dei materiali da riciclo, venga promosso l’uso dei prodotti “circolari”». Come? Rafforzando il ricorso a prodotti e beni riciclati negli acquisti pubblici verdi (Gpp); introducendo l’obbligo, per determinati prodotti e opere, di un contenuto minimo di riciclato; intervenendo con il contributo ambientale e/o con la fiscalità per riconoscere i benefici ambientali derivanti dall’uso di prodotti “circolari” (spesso più cari di quelli prodotti con materiali vergini).

A monte è inoltre indispensabile recuperare «i ritardi e le carenze impiantistiche ancora presenti in alcune zone del Paese: l’emergenza – sottolinea Barberi – ha evidenziato alcune carenze di dotazione impiantistica (soprattutto per la frazione organica e la frazione residuale non riciclabile) e la necessità di nuove tecnologie di riciclo per alcune tipologie di rifiuti (plastiche miste e alcuni Raee)».

«Per fare economia circolare servono impianti, sia quelli tradizionali che quelli innovativi come per il riciclo molecolare della plastica», concorda il dg di Ispra Alessandro Bratti intervenendo alla presentazione del rapporto, ma sulla sollevata questione della frazione residuale non riciclabile – da gestire dunque tramite recupero energetico o smaltimento in discarica – continua ad aleggiare una sorta di tabù. «La questione impiantistica – osserva nel merito il sottosegretario all’Ambiente Roberto Morassut – non deve essere questione ideologica. Essenziale saper costruire con le popolazioni una discussione scientifica, schietta, che entri nel merito». L’occasione ci sarebbe, quella offerta dal Programma nazionale per la gestione dei rifiuti.

Ma le difficoltà a portare avanti un approccio pragmatico su questi temi emerge purtroppo ancora una volta con grande chiarezza guardando ai paradossi sull’End of waste – ovvero la disciplina giuridica riguardante la cessazione della qualifica di rifiuto al termine di un processo di recupero –, che le avventure legislative dell’anno scorso non sono riuscite a semplificare. «Per sviluppare l’economia circolare, favorire innovazione e nuovi investimenti – osserva il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Edo Ronchi, già intervenuto sul tema in passato – sarebbe molto utile ridurre i tempi troppo lunghi , a volte di anni, per le autorizzazioni  di attività di riciclo di rifiuti che generano prodotti (End of waste) affidate, caso per caso, alle Regioni e oggi sottoposte ad un doppio regime di controllo a campione, non previsto dalle Direttive europee e non richiesto in nessun altro Paese europeo».

Per sostenere davvero l’economia circolare occorre dunque sburocratizzare, permettere la realizzazione di impianti – sovente avversati da sindromi Nimby e soprattutto Nimto – e incentivare il ri-acquisto dei prodotti riciclati. Ma dopo anni di traccheggiamenti è necessario farlo subito, perché nel frattempo un altro effetto negativo innescato dall’epidemia è stato il rallentamento e i tagli degli investimenti programmati nel settore dei rifiuti: il 65% degli intervistati del settore ha dichiarato di prevedere una riduzione dei futuri investimenti.

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