LA PARTITA DEL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI SI RIMETTE IN MOTO, MA LA MAREMMA RIMANE IL VAGONE DI CODA

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LA PARTITA DEL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI SI RIMETTE IN MOTO, MA LA MAREMMA RIMANE IL VAGONE DI CODA

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LA PARTITA DEL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI SI RIMETTE IN MOTO, MA LA MAREMMA RIMANE IL VAGONE DI CODA

Pochi giorni fa si è chiuso il bando della Regione Toscana per individuare proposte impiantistiche innovative di trattamento dei rifiuti. E come al solito la provincia di Grosseto è rimasta fuori da ogni ipotesi di localizzazione. Esclusa da uno dei più promettenti business del futuro, che avrà il merito di conciliare due obiettivi: quello ambientale consistente nella riduzione e trasformazione dei rifiuti con la produzione di energia pulita e biocarburanti. E quello di generare indotto economico e occupazionale.

Niente di nuovo, in fondo. È l’inevitabile conseguenza di una visione ottusa del governo del territorio che verte da sempre su un conservatorismo culturale impaurito dallo sviluppo tecnologico, e fortemente condizionato dalla sindrome di Nimby – not in my backyard (non nel mio cortile) – ammantata da pensiero ambientalista.

Com’è noto, l’area potenzialmente destinataria di un impianto per il trattamento dei rifiuti è quella del Casone di Scarlino, dove insiste il vecchio impianto di incenerimento di Scarlino Energia, oggi di proprietà di Iren Ambiente Spa. Sulle cui scelte industriali merita tornare in seguito.

Con il bando per le manifestazioni di interesse a realizzare soluzioni impiantistiche innovative, la Regione Toscana ha deciso di escludere a priori la possibilità di ricorrere ai termovalorizzatori. A oggi la tecnologia esistente più rodata e affidabile, oltre che sfruttata in Europa, per distruggere rifiuti ricavandone energia elettrica e termica.

Questa scelta ha avuto come esito la presentazione di 36 proposte, con diverse tipologie di impianti. Fra queste, quelle più significative riguardano 5 biogassificatori basati su una tecnologia sperimentale messa a punto dalla multinazionale Technimont Marie-NextChem. Un processo produttivo definito “Waste to Chemicals” (dal rifiuto alla chimica), che attraverso un mix di applicazioni industriali già sperimentate in altri settori dovrebbe portare all’estrazione di idrogeno, metanolo ed etanolo, sia dai rifiuti indifferenziati pretrattati che dal combustibile solido secondario (Css) da questi ricavato, ma anche dai rifiuti speciali di industria cartaria (pulper), tessile e pellettiera. Ottenendo, inoltre, anidride carbonica (CO2) pura al 90 per cento, sfruttabile per usi alimentari e industriali. I forni di questi impianti lavorano a 1200° “scomponendo” le molecole dei materiali per produrne gas di sintesi (syngas) da cui ricavare altri prodotti, in una logica di economia circolare. Con l’etanolo si possono realizzare altre plastiche prive di idrocarburi minerali, con metanolo e idrogeno si integrano i combustibili.

I 5 biogassificatori in questione – che dovrebbero essere realizzati a Empoli, Massa, Pontedera e Rosignano dai gestori del ciclo dei rifiuti Alia (Ato Toscana Centro) e Reti Ambiente (Ato Toscana Costa) con partnership industriali e finanziarie – costerebbero dai 385 ai 450 milioni di euro ciascuno e ognuno darebbe lavoro a 180-200 addetti qualificati. E che, promette chi li promuove, consentirebbero praticamente di azzerare la Tari per i Comuni che ospitassero gli impianti.

Attenzione però. Perché la tecnologia alla base di questi nuovi impianti non è ancora stata applicata su larga scala al trattamento dei rifiuti, come ha specificato a Repubblica Firenze l’ingegner Giacomo Rispoli, che ha sviluppato l’innovazione tecnologica: «Siamo ancora in fase di modelli e realizzazione. Ne stiamo facendo molti, la Toscana si ritroverebbe in prima fila sul fronte dell’innovazione».

C’è poi un altro problema. Un biogassificatore di nuova generazione costa più o meno quanto tre termovalorizzatori, che oggi eliminano rifiuti con una tecnologia ampiamente testata e sistemi di abbattimento degli inquinanti molto efficienti. Questi costi particolarmente alti, com’è intuibile, per essere ammortizzati nel tempo saranno ripagati in parte attraverso la Tari. Il che significa che, salvo il vero, la futura tassa sui rifiuti urbani potrebbe essere molto più salata di quella attuale. E che l’azzeramento della Tari per i Comuni che ospitassero gl’impianti, potrebbe essere pagata da tutti gli altri.

Forse – oltre che per l’ostracismo manifesto di gran parte degli Enti locali dell’area delle Colline metallifere – è anche per questi motivi che Iren Ambiente Spa (secondo gruppo italiano nel trattamento dei rifiuti) ha deciso di non proporre di realizzare un biogassificatore a Scarlino, nell’area del Casone. La multiutility di Reggio Emilia proprietaria del gestore Sei Toscana, infatti, sembra aver preferito continuare a puntare sui termovalorizzatori (ne gestisce già molti) rispetto ai biogassificatori, almeno fino al momento in cui la nuova tecnologia non sarà testata nel trattamento industriale dei rifiuti.

Quanto alle strategie di Iren Ambiente Spa per Scarlino, da quanto se ne sa, la trattativa con le amministrazioni locali verte sull’obiettivo che l’azienda si è data di realizzare un impianto per la produzione di blocchetti distanziatori per pallets a base di legno e plastica estrusi, un essiccatore dei fanghi reflui dei depuratori di Fiora Spa e dell’ampliamento dell’impianto di depurazione dei reflui industriali di Scarlino Energia – che oggi tratta quelli di Solmar e Venator – per processare rifiuti di altre aziende e il percolato proveniente dalle discariche.

Naturalmente la partita della nuova impiantistica per il trattamento dei rifiuti in Toscana è solo all’inizio, e l’assessore regionale all’ambiente Monia Monni avrà le sue belle gatte da pelare, considerate le ataviche resistenze di un ambientalismo conservatore che in questo specifico ambito ha riportato la Toscana al medioevo tecnologico e ambientale. Distante anni luce da regioni come l’Emilia Romagna e la Lombardia, con una quota eccessiva di rifiuti conferiti in discarica e un export di rifiuti decisamente poco dignitoso.

Ad ogni modo, che abbiano ragione Alia e Reti Ambiente (che si affidano alla tecnologia Technimont Marie-Next-Chem) oppure Iren-Sei Toscana (che punta sulla tecnologia dei termovalorizzatori), il dato di fatto è che ancora una volta la provincia di Grosseto rimane fuori dai giochi che contano in regione. E il problema è che questi “giochi” hanno come contropartita un poderoso indotto economico, la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo e l’applicazione di tecnologie ambientali che costituiscono la speranza per il futuro dell’umanità.

Avere un grande impianto industriale per il trattamento dei rifiuti, ricavandone energia e biocarburanti, oppure altro, dovrebbe essere un’ambizione condivisa. Ma, evidentemente, questo territorio preferisce non rischiare e continuare a cullarsi nell’illusione di rappresentare una sorta di Eden. Nel quale vengono sicuramente in tanti a trascorrere le proprie vacanze, oppure a comprarsi un rifugio, ma dal quale altrettanto certamente i giovani più qualificati e con qualche ambizione di realizzare le proprie aspettative continuano prevalentemente ad andarsene.

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