Lotta a burocrazia e sindromi Nimby per dare gambe all’economia circolare nel Pnrr

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Lotta a burocrazia e sindromi Nimby per dare gambe all’economia circolare nel Pnrr

Greenreport

Audite alla Camera le associazioni d’impresa Assoambiente, Unicircular, Assorimap

Lotta a burocrazia e sindromi Nimby per dare gambe all’economia circolare nel Pnrr

«La difficoltà maggiore per la realizzazione e gestione degli impianti non viene tanto dalla mancanza di fondi, quanto dagli ostacoli burocratici e dal clima negativo di sfiducia e sospetto che si è stratificato intorno alla gestione dei rifiuti»

Di Luca Aterini

Mentre la plenaria dell’Europarlamento vota sul nuovo Piano d’azione per l’economia circolare promosso nel marzo scorso dalla Commissione Ue, nel Parlamento italiano si fanno largo le riflessioni sul Pnrr elaborate dalle associazioni che rappresentano le imprese che raccolgono e gestiscono rifiuti urbani e speciali generati ogni giorno nel nostro Paese.

«La gestione del ciclo dei rifiuti rappresenta un candidato ideale per le progettualità del Piano nazionale di ripresa e resilienza – dichiarano in audizione i presidenti di Assoambiente e Unicircular, rispettivamente Chicco Testa e Paolo Barberi, già intervenuti sul tema un mese fa – Il Piano, oltre al rilancio del Paese in termini economici ed occupazionali, deve creare le condizioni per una sua resilienza: nel caso dei rifiuti, questo significa rendere l’Italia nel complesso più indipendente dagli approvvigionamenti dall’estero di materie prime ed energia, sostituendole il più possibile con quelle recuperate dai rifiuti, e costruire un sistema di gestione dei rifiuti più autosufficiente e funzionale, colmando i gap impiantistici tra le varie aree del Paese e rispetto all’estero. Significa, inoltre, rendere il sistema del riciclo meno esposto ai cambiamenti del mercato e agli shock esterni, come purtroppo è accaduto in questo periodo di pandemia».

Su tutti questi fronti l’Italia si mostra ad oggi troppo vulnerabile. Ogni anno generiamo oltre 173 milioni di tonnellate di rifiuti tra urbani e speciali, e solo una piccola parte trova posto nell’economia circolare nazionale (dove infatti il tasso di circolarità è fermo al 17,7%). Ma oltre che nella re-immissione nel ciclo economico, lungo lo Stivale resistono forti difficoltà anche nella “semplice” gestione di questi scarti, vista la carenza – almeno al centro-sud –  di impianti di prossimità utili allo scopo. Solo il turismo dei rifiuti urbani si stima arrivi a percorrere 49 milioni di km l’anno, mentre guardando anche agli speciali si aggiungono altri 1,2 miliardi di km.

E tutto questo lasciando perdere le tratte fuori confine, anche se il ricorso all’export sta diventando (purtroppo e per fortuna) sempre più difficoltoso: un trend che la pandemia ha bruscamente accelerato, rendendo urgente rivedere la dotazione impiantistica sul territorio. E qui ritorniamo agli storici fattori bloccanti per il comparto: sindromi Nimby (e Nimto) e una normativa bizantina quanto contradditoria.

Non a caso Testa e Barbieri hanno evidenziato come «la difficoltà maggiore in Italia per la realizzazione e gestione degli impianti non venga tanto dalla mancanza di fondi, quanto dagli ostacoli burocratici e dal clima negativo di sfiducia e sospetto che si è stratificato intorno alla gestione dei rifiuti e che coinvolge tutti, dai cittadini, alla pubblica amministrazione centrale e locale, agli enti di controllo». Nella bozza di Pnrr approvata dal Governo uscente non c’è niente in merito alla programmazione impiantistica, sebbene il ministero dell’Ambiente abbia avviato a novembre l’iter per giungere (entro 18 mesi) alla stesura di un Programma nazionale per la gestione rifiuti.

Assoambiente e Unicircular sottolineano inoltre «l’urgenza di procedere finalmente alla tante volte annunciata semplificazione, sburocratizzazione e digitalizzazione delle attività amministrative che riguardano il settore dei rifiuti e dell’economia circolare», perché come sottolinea Testa «il problema non è la burocrazia: la burocrazia attinge a norme impedenti, non chiare».

«Affinché l’economia circolare non rimanga soltanto un titolo accattivante, occorre favorire – concludono le due associazioni – condizioni normative ed economiche stabili e competitive per i materiali riciclati e per i prodotti preparati per il riutilizzo». Anche in questo caso le opzioni sul tavolo non mancano: dall’Iva ridotta per beni riciclati al credito d’imposta alle imprese che li acqusitano per reinserirli nei propri cicli produttivi, all’introduzione di “eco bonus” non solo per la riqualificazione energetica degli edifici ma anche per l’impiego di materiali e/o aggregati riciclati.

I benefici di un simile appoggio sarebbero cospicui sotto il profilo ambientale, ma anche sotto quello socioeconomico e occupazionale, come mostrano i dati snocciolati in audizione alla Camera anche da

Walter Regis, presidente di Assorimap: sottolineando l’utilità degli investimenti nel settore del riciclo della plastica (ovvero quello in cui sono attive le aziende Assorimap), Regis osserva che «la Commissione europea nella sua Strategia sulla plastica ha previsto una crescita del 400% entro il 2030. Dal punto di vista ambientale il raggiungimento degli obiettivi prefissati porterebbe un risparmio di CO2 pari a 14,8 milioni di tonnellate con la creazione di 65.000 nuovi posti di lavoro diretti e ulteriori 50.000 indiretti oltre al risparmio di oltre 1 miliardo di euro l’anno per l’industria europea della trasformazione di materie plastiche».

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