Il Sole 24 Ore
Rischio che vengano classificati dal ministero con il «codice 15.02.02*»
Benedette maledette mascherine. Sono divisive anche dopo l’uso. Non è chiaro come devono essere
smaltite. E soprattutto non si sa ancora come dovranno essere smaltite in futuro quando — tolta la clausura
più rigorosa che oggi fa gettare 3-4 milioni di mascherine al giorno — una riapertura parziale alla vita attiva
produrrà rifiuti per decine di milioni di pezzi al giorno.
Alcuni stimano che con la Fase Due si getteranno 20 milioni di mascherine al dì, chi parla di 40 milioni. Di
sicuro si rischia che accada quanto già avviene nel mar della Cina, nelle cui acque oggi si pescano meno
sardine che maschere sanitarie usate.
Il problema non si pone per le mascherine usate negli ospedali e per le persone contagiate, i cui rifiuti hanno
un regime di rigore particolare.
Il problema di pone con le maschere con cui si proteggono le persone sane. Sono rifiuti ordinari, come i
fazzolettini umidificati di tessuto non tessuto. No, sono rifiuti infetti da bruciare a caro prezzo nei pochissimi e
già inavvicinabili inceneritori per rifiuti ospedalieri. Nemmeno, sono rifiuti industriali assimilati agli urbani, da
smaltire insieme con i rifiuti indifferenziati e preferibilmente negli inceneritori.
Per ora il ministero dell’Ambiente tace su questa classificazione. La tentazione di molti integralisti della
spazzatura è classificarli come immondi e infettivi rifiuti con il codice 15.02.02*, cioè «assorbenti, materiali
filtranti (inclusi filtri dell’olio non specificati altrimenti), stracci e indumenti protettivi, contaminati da sostanze
pericolose».
Differenti sono le regole già emanate dalle Regioni padane. Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia
Romagna hanno stabilito che le maschere usate nelle attività economiche sono rifiuti speciali assimilati agli
urbani da smaltire nell’immondizia urbana indifferenziata.
Oggi il problema è limitato a pochi milioni di pezzi al giorno. Sarà diverso quando milioni di italiani useranno
abitualmente la maschera protettiva in ufficio, il fabbrica, in negozio, sull’autobus, nelle attività quotidiane di
lavoro o di vita ordinaria. Gran parte di questi dispositivi svolge il servizio per poche ore, e poi deve essere
gettata, e milioni di italiani finito il turno di lavoro o rientrati a casa dopo le compere dovranno scegliere in
quale bidone destinare il dispositivo.
Le imprese hanno chiesto che si adotti la regola più sicura. Tranne i casi di ospedali e malati, a parere delle
imprese le maschere usate dalle persone nelle attività ordinarie vanno gettate nell’indifferenziate per essere
smaltite, meglio se incenerite, e non finire nella raccolta dei rifiuti da riciclare. In una nota mandata al
ministero dell’Ambiente, la Confindustria ha chiesto «di garantire una gestione dei rifiuti volta ad evitare il
propagarsi della contaminazione, ma nello stesso tempo evitare di mettere ancor più sotto pressione il
sistema delle imprese con nuovi adempimenti tecnici e amministrativi, nonché quello di gestione dei rifiuti
pericolosi, per i quali, come sappiamo, l'Italia sconta da tempo un deficit impiantistico, ricorrendo in maniera
massiccia all’export».
Altri temi ambientali da risolvere con rapidità riguardano le scadenze degli obblighi ambientali e i tempi di
pagamento della pubblica amministrazione per le aziende di servizi ambientali.
Sui tempi di pagamento, la Lega sta lavorando sull’ipotesi della cessione dei crediti, certificati in piattaforma
Mef, a istituti bancari e finanziari con la garanzia dello Stato.
Sul fronte delle scadenze ambientali, ci sono i gas fluorurati e a fine mese le aziende sottoposte al regime
europeo Ets dovranno pagare le quote di anidride carbonica emessa. È allo studio un’ipotesi di una proroga
a ottobre con ravvedimento operoso.