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«Riciclo ed energie rinnovabili entriamo in una nuova era»

Il Tirreno – ItaliaMondo

Luca Dal Fabbro «Tutto sarà recuperato, un nuovo modello economico

Le comunità energetiche avranno uno sviluppo enorme, risparmi del 20%»

«Riciclo ed energie rinnovabili entriamo in una nuova era»

Territorio, energia e sostenibilità. Il futuro non potrà prescindere da un’economia sempre più circolare dove tutto si rigenera, si riusa e si ricicla. E con un fine ultimo: quello di risparmiare risorse e creare energia. Un processo virtuoso tutt’altro che penalizzante, strumento per le aziende e le comunità per ricavare reddito e salvare l’ambiente. Luca Dal Fabbro, presidente di Iren, e da qualche settimana anche amministratore delegato ad interim, naviga in questo mondo del futuro, ma con le basi già solide nel presente, forte di progetti concreti già realizzati o in via di realizzazione. In Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, territori in cui la multiutility è nata, e in Toscana, terra in cui è già ben presente e si sta radicando.

Presidente, sostenibilità è ormai un termine abusato. Ma vieni, concretamente, i progetti sostenibili possono essere redditizi e non un esercizio teorico?

«La sostenibilità è uno strumento potente: primo, per creare valore in azienda con la creazione di nuovi margini, secondo, per rendere il Paese più sicuro energeticamente e, terzo, per salvaguardare l’ambiente, esigenza ormai ineludibile. Perché parto da qui? Perché oggi fare progetti sostenibili (produrre un impianto eolico, fotovoltaico, biogas, di trattamento rifiuti) significa – oltre che salvare l’ambiente e ridurre la produzione di anidride carbonica – fare un investimento e produrre margini per gli azionisti. In Italia inoltre vuol dire rendere il Paese più sicuro perché se produciamo energia sul territorio, non importiamo gas dall’Algeria. E “tagliando” la catena di approvvigionamento, riduciamo, in caso di choc energetico, il rischio». Quanto le energie alternative possono renderci autonomi dal punto di vista energetico? È un risultato possibile e in che tempi?

«Per fare una politica energetica italiana non è sufficiente un anno ma serve iniziare un percorso. Con il solare possiamo produrre altri 70mila megawatt di energia, con il biogas altri 10 miliardi di metri cubi all’anno. La dipendenza dalla Russia era di 30 miliardi, quindi un terzo di ciò che ci veniva da lì potrebbe arrivare dal biogas. Poi abbiamo la possibilità di fare progetti geotermici per almeno 2.000 megawatt. Toscana, Umbria e Lazio sono ricchi di geotermia. Per l’idroelettrico: investendo sulle nostre dighe si aumenterebbe del 20% l’acqua che noi stocchiamo. In 5-10 anni potrebbero essere totalmente indipendenti da altre fonti tenendoci il gas algerino e le quantità via nave di gas liquido. Solo con le rinnovabili, e poco altro, riusciamo a essere indipendenti in caso di choc termici».

Una piccola e media azienda come può contribuire alla produzione energetica e aumentare la propria redditività?

«Attraverso le comunità energetiche. Una Pmi si può consorziare con altre realtà: noi non stiamo sviluppando più di 400 in Italia. Si risparmia il costo del trasporto dell’energia e si ha una sovvenzione importante: questo fa sì che si taglia del 20% il costo dell’energia. Inoltre si rende l’approvvigionamento più sicuro in azienda perché ci si produce l’energia sul territorio».

Un meccanismo che tutti lodano ma che si ha la percezione non sia ben oliato. ..

«È vero. Manca una normativa definitiva delle comunità energetiche. Ce n’è una provvisoria e siamo in attesa della normativa finale. Questo rende gli investitori cauti ma anche così è conveniente: bisogna parlarne di più e far capire di cosa si tratta».

Lo sviluppo delle comunità energetiche sarà quindi enorme nei prossimi due anni?

«Assolutamente sì. È una pratica di sviluppo certa e bisogna che le Pmi si informino già ora, noi di Iren possiamo osare loro tutto il supporto che serve».

Cosa cambierà con un nuovo sistema di economia circolare?

«È un nuovo modello di economia: dalla produzione di un oggetto si passa a un oggetto che si riutilizza, si rigenera, si ripara, si ricicla. È un’economia rigenerativa anche perché le risorse saranno sempre più costose e più scarse. L’economia circolare risponde a tre esigenze: salvaguardare l’ambiente, ridurre i costi di produzione e rendere più sicuro l’approvvigionamento. Se riciclo non ho bisogno di importare dall’estero le materie prime e con la guerra in Ucraina abbiamo visto quanto è pericoloso dipendere dall’estero per questo».

Quindi come cambieranno le nostre aziende e le nostre competenze professionali?

«È un’economia che richiede competenze di fisica, di chimica, di design. Non servono solo ingegneri ma serviranno anche i designer. Si dovrà pensare come si rigenera, non come si produce: i cellulari, ad esempio, registrati essere riconvertiti. Serviranno anche economisti dei mercati perché tutto cambierà, il riciclo oggi è poco sviluppato mentre domani sarà centrale. Le aziende non inizieranno più a produrre con una materia prima ma da uno scarto o da un rifiuto, che saranno risorse».

A proposito di risorse, parliamo delle “materie prime critiche”. Cosa sono e cosa stiamo facendo per ricavarle?

«Negli ultimi anni abbiamo sottovalutato l’importanza di 34 materie utili e fondamentali per realizzare prodotti e manufatti strategici: i droni, le tac, i cellulari, i sistemi di armi sofisticate, i satelliti. Ora queste materie (litio, iridio, terre rare, borato…) sono appannaggio di paesi come la Cina, il Cile e il Sudafrica. L’Europa è povera di queste materie e quindi sta dando delle linee guida per recuperarle. Venire? Noi ad esempio abbiamo un impianto a Volpiano, in provincia di Torino, che estrae metalli preziosi dai rifiuti elettronici. Ad Arezzo stiamo autorizzando un impianto innovativo per recuperare il palladio, l’oro, l’argento e il rame: li prendiamo dalle schede dei computer. Sarà un impianto che utilizzerà per farlo anche l’intelligenza artificiale. Gli investimenti previsti sono di 3 milioni di euro e servirà circa un anno dall’autorizzazione. Saranno impiegate 15 persone con l’obiettivo di creare un polo innovativo di Iren e un polo di ricerca sui materiali critici».

Anche a Scarlino, Grosseto, Iren ha il progetto di un polo di recupero.

«A Scarlino avremo un polo di 4 impianti, un polo integrato di economia circolare, un investimento di 150 milioni di euro, con quattro tecnologie diverse ma complementari. Uno degli impianti è per il trattamento del legno, come quello inaugurato a Vercelli. Prendiamo il legno che sarebbe andato in smaltimento, lo trituriamo e ne produciamo pallet prestampati, senza chiodi. Diventano un’alternativa sostenibile ai supporti utilizzati nella logistica. Un secondo impianto è di trattamento dei fanghi da depurazione, un terzo progetto è per il trattamento delle plastiche non riciclabili e del pulper che andrà ad attingere dalle cartiere toscane. Da qui recuperiamo un polimero che utilizziamo al posto del polverino di carbone come agente riducente nella lavorazione dell’acciaio e anche come aggregante per il bitume per asfalti più plastici, meno bisognosi di manutenzione. Il quarto impianto sarà un depuratore a servizio degli altri tre impianti per il riciclo dell’acqua. Anche per questo l’autorizzazione è in corso, vi aspettiamo l’ok. Sarà funzionante all’inizio del 2025 e assumeremo 120 persone per la gestione dei vari impianti».

A Lucca un impianto per il riutilizzo del pulper è richiesto da tempo dalle cartiere. Perché si è scelto Grosseto?

«L’impianto che faremo a Scarlino servirà anche la Lucchesia. L’area grossetana è quella in cui siamo entrati nell’ultimo periodo ed è un territorio in cui ci stiamo ambientando: il progetto di Scarlino è anche un importante progetto di riqualificazione di un’area a vocazione industriale, ci è sembrato il posto adatto per un investimento di economia circolare».

In Emilia-Romagna, una delle vostre regioni-casa, quali progetti avete?

«È uno dei nostri territori storici. A Reggio Emilia abbiamo inaugurato pochi giorni fa un biodigestore, uno dei più grandi d’Italia. Un investimento da 75 milioni di euro. Dalla raccolta domestica organica delle città di Reggio Emilia e Parma, replicando l’azione dei batteri, ricaviamo biometano che viene messo direttamente in rete a servizio della cittadinanza e produciamo compost, una materia prima preziosa per i raccolti. Così l’economia circolare non è un paradigma teorico. Tutti gli impianti sono visitabili da chiunque e hanno un percorso parallelo come se si trattasse di un museo. A Reggio c’è anche un’aula didattica che fa vedere il processo produttivo. A un progetto industriale abbiamo abbinato un progetto culturale di educazione alla sostenibilità. Abbiamo risposto alla contestazione “Non nel mio giardino” con la più totale trasparenza. A Gavassa abbiamo più volte organizzato “Cantieri aperti”, persino uno spettacolo teatrale e ospitiamo sistematicamente scuole e centri estivi. Abbiamo un plastico Lego con 80mila mattoncini che riproduce l’intero impianto».

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