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Rifiuti Chi paga il prezzo del non fare

La Nazione

Alfredo De Girolamo*

Sui rifiuti, come racconta il lavoro d’inchiesta di questo giornale, i nodi vengono al pettine.

La Toscana non ha impianti sufficienti per gestire i propri rifiuti urbani e speciali. Le discariche sono destinate ad esaurirsi, mancano digestori anaerobici, impianti di recupero energetico, discariche per rifiuti pericolosi e impianti per il pulper di cartiera, i rifiuti tessili e del cuoio. Sinora si è deciso di “non fare”. Alcuni termo valorizzatori sono stati chiusi (Pontassieve, Pisa), per alcuni si è programmata la chiusura (Livorno, Montale), altri si è deciso di non farli più (termovalorizzatore della Toscana centrale). Infine ci sono gli stop delle conferenze di servizio o le autorizzazioni sospese, come per l’impianto di recupero energetico di Kme o di quello di Scarlino.

Unica nota positiva, l’approvazione del progetto del nuovo polo impiantistico di Aisa Impianti, che dà certezza ai flussi della Provincia di Arezzo. Un ampliamento che premia una gestione efficiente, a dimostrazione che gli impianti possono essere fatti con il consenso delle amministrazioni (Regione in testa) e delle popolazioni. Il costo del “non fare” in Toscana cresce di anno in anno, e il risultato è che le mancate scelte vanno a finire nella Tari, a carico di cittadini e imprese. La soluzione sarebbe stato un nuovo Piano regionale dei rifiuti, basato su una stima della quantità da gestire e quindi degli impianti da realizzare. La Regione avrebbe dovuto aggiornare il Piano vigente alla fine del 2016, poi ha deciso di non farlo. Presto sarà obbligata a fare il nuovo Piano, dopo il recepimento a settembre della Direttiva europea sui rifiuti. Sarà uno dei banchi di prova della nuova Giunta regionale.

* Presidente di Confservizi Cispel Toscana

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