Il Sole 24 Ore
Rifiuti, dal Tar un colpo alle regole Arera
Contestata l’attribuzione alle Regioni delle competenze sugli impianti indispensabili
S.Poz.
Il Tar Lombardia (sentenza 486/2023) provoca un terremoto nella regolazione dei rifiuti che sembrava avviata a maturità.
Il Tar ha accolto il ricorso di una società privata che gestisce una discarica di rifiuti speciali non pericolosi a Foggia, che l’Ager Puglia aveva qualificato quale «impianto minimo», cioè indispensabile per la chiusura del ciclo a livello regionale.
Anche il Tar Emilia Romagna (n. 638/2023) ha messo in discussione il meccanismo, dichiarando illegittima una delibera della giunta regionale che, in attuazione di una delibera Arera, prefigurava assegnazioni autoritative di flussi di frazione organica di rifiuti solidi urbani in favore degli impianti «minimi» da essa individuati.
Il Tar lombardo ha accolto la domanda di annullamento della delibera Arera 363/2021, di approvazione del metodo tariffario (Mtr-2) per il 2022-2025, in cui si fissano i criteri per le tariffe di accesso agli impianti di trattamento, prospettando l’adozione di misure per «indurre gli operatori a miglioramenti in un’ottica di sostenibilità ambientale, anche declinando le modalità di riconoscimento degli eventuali oneri aggiuntivi per il perseguimento dei nuovi standard di qualità».
Per il Tar la disciplina di Arera «non solo non ha supporto nel dato normativo, ma si scontra con il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di rifiuti e in generale di ambiente all’interno della cornice costituzionale». Arera avrebbe violato il riparto delle competenze attribuendo alle Regioni una facoltà, quella di individuare criteri per qualificare un impianto come minimo, che va esercitata dallo Stato nel Programma nazionale per la gestione dei rifiuti, strumento di indirizzo per le Regioni per pianificare la gestione dei rifiuti in base al Dlgs 152/2006 (articolo 198-bis).
La sentenza, se confermata dal Consiglio di Stato, compromette un percorso avviato da Arera per contenere il costo del servizio per i contribuenti, visto che l’inserimento di un impianto tra quelli minimi ha l’effetto di sottrarli al libero mercato assoggettandoli a un sistema di flussi predefiniti e a tariffe regolate. Per il Tar, però, «l’applicazione di un regime regolatorio e tariffario come quello degli impianti minimi comporterebbe, in capo ai gestori degli impianti, la costituzione di obblighi particolarmente stringenti, contrari ai principi di libertà economica, di impresa, a quelli di correttezza e ragionevolezza dell’azione amministrativa e non supportata normativamente».
La decisione turba un ritrovato equilibrio di competenze tra Stato e Regioni e rende ancora più urgente una revisione del Codice ambiente.