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Roma al banco di prova del biodigestore tra timori e vantaggi

I residenti preoccupati per le perdite di metano ma secondo Tommaso Cassata, avvocato e amministratore delegato di Asja, è la tecnologia più “avanzata e sostenibile dal punto di vista ambientale”

Roma si trova al difficile banco di prova della chiusura del ciclo dei rifiuti. A ogni annuncio di un nuovo impianto nasce un picchetto in città e il sindaco si trova gruppi di manifestanti in protesta sotto alla finestra di Palazzo Senatorio. In principio i malumori, oggi concentrati sul termovalorizzatore, erano indirizzati ai due biodigestori anaerobici, capaci di smaltire 120 mila tonnellate annue di frazione organica senza utilizzare ossigeno. I due impianti saranno costruiti a Casal Selce (Municipio XIII) e Cesano (Municipio XV). Così Acos, Agenzia capitolina per il controllo dei servizi pubblici, ha interpellato 18 comitati e associazioni, principalmente dei territori interessati dalle nuove strutture.

Ben dieci comitati su 18 si sono detti preoccupati per le perdite di metano dell’anaerobico. In nove hanno espresso preoccupazione per la qualità del compost in uscita e la quantità di compost non a norma prodotto. In otto temono: possibili conseguenze sulla salute; le grandi dimensioni e le emissioni totali dell’impianto; l’utilizzo del compost nei terreni agricoli; l’insufficiente contributo all’economia circolare; l’insufficiente percentuale di recupero di materia da riciclo.

Seguono i timori, li hanno espressi in sette su 18, per un considerevole incremento del traffico pesante a causa di assi viari inadeguati ed emissioni odorigene. Infine sei comitati su 18 si sono detti preoccupati per un aumento degli scarti in discarica. In linea di massima dal report di Acos emerge che i comitati interpellati ritengono “preferibili piccoli impianti diffusi” e che ci sarebbe un “minore impatto” anche sul traffico “con tanti piccoli impianti”.

Secondo Tommaso Cassata, avvocato e amministratore delegato di Asja, “se si volessero confrontare le due tecnologie, la digestione anaerobica e il compostaggio aerobico, non c’è dubbio che il biodigestore è più avanzato e sostenibile dal punto di vista ambientale, la digestione anaerobica avviene in un ambiente senza ossigeno, chiuso e sigillato, senza emissioni verso l’esterno. I biogas che si producono attraverso i processi naturali di putrescenza vengono completamente recuperati con l’anaerobico, questo non avviene nella digestione aerobica dove il metano che si produce va direttamente in atmosfera”.

Anche secondo Acos la biodigestione è preferibile. La tecnologia degli impianti di biodigestione producendo energia consente un risparmio medio di 1.993 Megajoule a tonnellata, mentre un uguale impianto di compostaggio aerobico consuma 1.332 Megajoule a tonnellata, spiega il report dell’agenzia capitolina. Per quanto riguarda le emissioni di gas serra la biodigestione consente un risparmio di 40 kg a tonnellata di Co2 in media, a fronte di una produzione media di 80 kg a tonnellata di Co2 del compostaggio.

Le preoccupazioni della popolazione, secondo Cassata, sono determinate da “una cattiva informazione che nasce anche in buona fede: nell’immaginario collettivo c’è lo scenario di impianti maleodoranti e inquinanti. Oggi chi visita un biodigestore, però, non si accorge neanche di stare in un impianto per trattare i rifiuti. La tolleranza nasce dalla comprensione. Al centro e al sud sono impianti meno conosciuti e ci sono più timori, ma c’è una curva di apprendimento in crescita. Credo che a oggi siano quasi ovunque superate le posizioni ideologiche”.

Non va sottovalutato infine il sistema integrato che per l’esperto “è il migliore”. Secondo l’Acos l’integrazione dei processi anaerobico e aerobico dei rifiuti organici potrebbe determinare una riduzione annua delle emissioni di Ghg (Greenhouse gases, gas a effetto serra) pari a quasi il 23 per cento di quelle di un impianto di solo compostaggio aerobico di capacità di trattamento equivalente.

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