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Utilitalia: i territori con più raccolta differenziata sono quelli con più impianti

Greenreport

Utilitalia: i territori con più raccolta differenziata sono quelli con più impianti

Il turismo dei rifiuti urbani è arrivato a 68 milioni di chilometri l’anno

Pochi impianti e mal dislocati lungo la Penisola impongono 120mila viaggi di camion, a spese del clima (40mila ton di CO2) e del portafogli (75 mln di euro in più sulla Tari)

Di Luca Aterini

Nel 2020 in Italia sono state prodotte 28,9 milioni di tonnellate di rifiuti urbani: circa 3,1 però sono state trattate in regioni diverse da quelle di produzione, come documenta lo studio Rifiuti urbani, fabbisogni impiantistici attuali e al 2035, presentato da Utilitalia a Ecomondo.

I flussi di rifiuti sono in viaggio soprattutto verso il nord (che ha importato 1,6 mln di ton dal centro-sud), che comunque sfiora già oggi (10,4%) i target di conferimento in discarica previsti dall’Ue per il 2035 (10%). Il centro Italia esporta invece il 16% dei propri rifiuti (1 mln di ton) nonostante smaltisca in discarica il 41,7%; situazione simile al sud, che esporta il 18% della propria produzione (1,1 mln di ton) smaltendo comunque nelle proprie discariche il 36,7%.

Complessivamente, anche il bilancio nazionale è negativo: risultano infatti esportazioni verso Stati esteri di circa 400mila ton di “rifiuti speciali da rifiuti urbani” a recupero energetico e a discarica.

Teoricamente, tutto questo non dovrebbe neanche essere possibile: le norme individuate dal Testo unico ambientale (dlgs 152/2006) sull’autosufficienza vietano di smaltire rifiuti urbani (tal quali e non) in discariche altre rispetto a quelle presenti nell’Ato o Regione di competenza, e lo stesso vale per i termovalorizzatori (che possono accettare anche il tal quale). Ma una volta passati attraverso un impianto di trattamento meccanico biologico (Tmb), voilà: i rifiuti urbani diventano speciali e possono essere affidati al mercato per andare ovunque. Lontano dagli occhi e dal cuore dei cittadini, ma non dalle loro inconsapevoli tasche.

Per trasportare i 3,1 milioni di tonnellate di rifiuti trattati in regioni diverse da quelle di produzione, nel 2020 sono stati necessari 120mila viaggi di camion, pari a 68 milioni di chilometri percorsi (erano 62 solo un anno prima): ciò ha comportato l’emissione aggiuntiva di oltre 40mila tonnellate di CO2 e 75 milioni di euro in più sulla Tari (il 90% dei quali a carico delle regioni del centro-sud).

Che fare dunque? Servono nuovi impianti. Considerando la capacità attualmente installata, se si vogliono centrare gli obiettivi europei e annullare l’export di rifiuti tra le aree del Paese, per Utilitalia il fabbisogno impiantistico ammonta a 5,9 milioni di tonnellate, guardando alla gestione dei rifiuti organici (biodigestori anaerobici) e alle frazioni secche non riciclabili meccanicamente (per le quali Utilitalia si sofferma solo sull’opzione tecnologica della termovalorizzazione, e non sull’alternativa offerta dal riciclo chimico).

«A questo ritmo di conferimento – dichiara Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia – saremo obbligati a scegliere se costruire nuovi impianti o continuare a portare i rifiuti in discarica, sottoponendo il nostro Paese a nuove procedure di infrazione. Realizzando gli impianti di incenerimento con recupero di energia necessari alla corretta gestione dei rifiuti e al raggiungimento degli obiettivi delle direttive sull’economia circolare, e valorizzando al contempo tutto il potenziale del biometano dai rifiuti a matrice organica, si otterrebbe un risparmio nelle importazioni di gas equivalenti al 5% di quelle dalla Russia precedenti al conflitto».

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