A2A, serve una rete d’inceneritori per smaltire la marea di mascherine

Rifiuti, approvato il corrispettivo 2020 Rincari in vista
13 Settembre 2020
Ciò che è riciclabile fuori dalle discariche
16 Settembre 2020
Mostra tutti gli articoli

A2A, serve una rete d’inceneritori per smaltire la marea di mascherine

Il Sole 24 Ore

L’a.d. Mazzoncini: «Rifiuti fino a 400mila tonnellate dalle protezioni antivirus»

La raccolta differenziata ha senso quando è chiara la destinazione al riciclo

Jacopo Giliberto

Per eliminare in modo sicuro la marea di mascherine antifurti servirebbe la capacità di incenerimento di un termovalorizzatore di taglia media, «della capacità di trattare qualche centinaio di migliaia di tonnellate l’anno». Parola di Renato Mazzoncini, bresciano, ingegnere, amministratore delegato dell’A2A. Servirebbe cioè quella rete di impianti che non hanno regioni ad alta produzione di spazzatura, ad altissima produzione di discariche, a stratosferica produzione di abusi ambientali.

La società A2A, che in Italia ha il maggior numero di impianti di termoutilizzazione dei rifiuti non riciclabili, ha avuto un’esperienza diretta dell’ondata di mascherine anticontagio. In primavera, quando era ancora vietato andare liberamente a spasso, le spazzatrici stradali raccoglievano con le spazzole rotanti a Milano e a Brescia lembi di tessuto-non-tessuto celestino, quello delle mascherine chirurgiche da 3 grammi.

L’Ispra (Ambiente) e l’Istituto superiore di sanità (Salute) raccomandano dopo l’uso di non gettare quelle mascherine ma di metterle nell’immondizia indifferenziata, quella che in un Paese normale va al termovalorizzatore il cui fuoco purificatore dissolve al tempo stesso il rifiuto e il virus.

In Italia invece finisce in discarica (quando non trova le vie dell’abuso) il 21,5% della spazzatura. «Ma è una media trilussiana, quella del mezzo pollo a testa: regioni come Lombardia ed Emilia-Romagna hanno praticamente azzerato i conferimenti di rifiuti urbani in discarica», mentre il Lazio ricorre in buona parte a discariche e a impianti di altre regioni e altri Paesi, «con una spesa molto alta per i suoi cittadini e per l’ambiente», ricorda Mazzoncini.

Alle mascherine di questi mesi ora si è aggiunta la scuola, diventata una produttrice furiosa di rifiuti sanitari. Ieri Palazzo Chigi ha dato i numeri del dettaglio: «Ad oggi sono state fornite gratuitamente 136 milioni di mascherine chirurgiche nelle scuole di tutta Italia», dice il Governo. È una scorta sufficiente per una decina di giorni. Commenta Mazzoncini: «Se vogliamo smaltire in maniera sicura quel materiale non solo per l’ambiente ma anche per il rispetto delle implicazioni sanitarie, ci servirebbe in teoria un termoutilizzatore di media taglia in più, o meglio più impianti in cui suddividere quel materiale e al tempo stesso risolvere l’emergenza rifiuti di tante zone del Paese». A titolo di confronto, i dispositivi di protezione individuale contro il virus possono generare in un anno rifiuti fino a 300-400mila tonnellate di rifiuti, quando i due più grandi termovalorizzatori italiani (Brescia e Acerra, entrambi dell’A2A) distruggono circa 600-700mila tonnellate l’anno. C’è chi ha proposto di imporre ai cittadini un’ennesima raccolta differenziata, per le sole mascherine, ma Mazzoncini è cauto: «La raccolta differenziata ha senso quando la destinazione al riciclo è chiara e sicura anche dal profilo sanitario. Sarebbe meglio fare ricorso ai fondi europei, destinati spesso a progetti poco concreti, per aiutare l’Italia a dotarsi di infrastrutture strategiche per competere alla pari con le più avanzate città europee».

Chiamaci
Raggiungici