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Greenreport

Rossi: «La transizione verso produzioni ambientalmente più sostenibili non deve avvenire penalizzando chi lavora, ed essere attuata contro chi ha già pagato troppo in termini di occupazione»
Di Luca Aterini
Investire nell’economia circolare, secondo gli scenari presentati dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in collaborazione con gli economisti di Cles srl, permetterebbe all’Italia di creare oltre 149mila posti di lavoro entro il 2025: si tratta del settore con le più ampie possibilità di crescita occupazionale tra quelli tradizionalmente associati alla green economy, appena dopo il comparto delle fonti rinnovabili. Perché lo sviluppo sia sostenibile è però necessario che sia anche giusto: per questo il presidente della Regione Enrico Rossi, intervenendo oggi a Prato nell’ambito della tavola rotonda organizzata dalla Uil Economia circolare: un’opportunità per il lavoro?, ha sottolineato che «la transizione verso produzioni ambientalmente più sostenibili va governata, perché ciò non deve avvenire penalizzando chi lavora, e sia attuata contro chi ha già pagato troppo in termini di occupazione».
«La Regione – sottolinea Rossi – ha governato stipulando eccellenti accordi con il distretto del cuoio e, qui a Prato, con quello del tessile che è da secoli il luogo del riuso e dell’economia circolare. Fortunatamente il mercato predilige sempre di più chi produce rispettando l’ambiente. Così si devono minimizzare gli sprechi, riutilizzando come materie seconde quelli che un tempo erano considerati solo scarti. Nel distretto conciario questo prevede un investimento da 80 milioni di euro da parte degli imprenditori, una scelta che renderà il settore ancor più competitivo e a minor impatto ambientale. Anche qui a Prato l’accordo che abbiamo sottoscritto prevede il riuso degli scarti. Ben la metà delle 50mila tonnellate che residuano ogni anno può essere reimmessa nel ciclo produttivo».
Rossi si è poi detto convinto che serva una legge nazionale in grado di incentivare questo cambio nei processi produttivi, ma ha osservato come la Regione Toscana la chieda da almeno dieci anni al ministero dell’Ambiente, senza però ottenerla. «Nell’ambito del federalismo – ha quindi puntualizzato il presidente – siamo disponibili a redigere una proposta di legge da condividere con il Governo e che per noi è necessaria per rispondere alle giuste domande del mondo imprenditoriale toscano».
Ad oggi, però, di fatto in Toscana non sono presenti sufficienti impianti industriali per chiudere il ciclo integrato dei rifiuti secondo logica di sostenibilità e prossimità: i dati riportati da Ref Ricerche parlano di oltre 8mila camion carichi di spazzatura che, ogni anno, trasportano gli scarti toscani fuori confine con elevati impatti ambientali ed economici. La scorsa estate proprio le imprese di settore, riunite sotto l’egida Cispel, si sono fatte avanti proponendo investimenti pari a 1 miliardo di euro in 10 anni nell’ambito dell’economia circolare per la realizzazione di nuovi impianti sul territorio, sollecitando però al contempo l’introduzione di “un quadro legale chiaro sia a livello nazionale che regionale, e decisioni di pianificazione e localizzazione di impianti”.
Sotto questo profilo, l’Italia e anche la Toscana conservano ampie lacune da colmare: qualcosa ad esempio ha iniziato a muoversi proprio attraverso gli accordi stipulati col distretto del cuoio e quello tessile, mentre il nuovo Piano regionale rifiuti e bonifiche (Prb) rimane in fase di elaborazione.

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