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I NUOVI MINISTERI Sparisce la “transizione” ma lì c’erano i fondi Pnrr

La Repubblica

I NUOVI MINISTERI

Sparisce la “transizione” ma lì c’erano i fondi Pnrr

Era l’innovazione del governo Draghi su energia e digitale per rispettare i paletti Ue sui finanziamenti

DI ALDO FONTANAROSA E LUCA FRAIOLI

ROMA — La scomparsa della parola “transizione” dalla lista dei ministeri del governo Meloni può significare due cose: che la missione sia considerata compiuta o che, cosa più probabile, il nuovo esecutivo dia scarsa importanza ai temi del clima e dell’innovazione.

I ministeri della Transizione ecologica e della Transizione digitale erano nati proprio con Draghi. Più che un profondo credo ambientale e tecnologico dell’ex governatore della Bce avevano potuto i 191 miliardi che l’Europa aveva concesso nel programma Next Generation Eu e, a cascata, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Soldi abbondanti, ma su cui l’Unione aveva posto molti paletti. Il primo, che circa un terzo dei fondi fosse usato per la transizione ecologica. Seconda voce di spesa il digitale. E così il governo Draghi ha gestito su due settori relativamente nuovi circa 60 e 40 miliardi. Da qui la necessità di caratterizzare i ministeri con nomi che ne enfatizzassero la missione, e la scelta di tecnici di peso come Cingolani e Colao, per la loro guida.

Tuttavia la missione è tutt’altro che compiuta. Le due transizioni esistono solo sulla carta del Pnrr e attendono di materializzarsi. Sorprende dunque il ritorno all’antico in un caso (Ambiente e Sovranità energetica) e addirittura la cancellazione dell’Innovazione tecnologica e transizione digitate.

L’eredità che Colao lascia è impegnativa. Riassunta in un documento di addio lungo 43 pagine, delinea un’Italia finalmente moderna ed avanzata. Grazie alla banda larga diffusa in modo capillare, ai servizi della Pubblica Amministrazione trasferiti nell’ambiente digitale del Cloud, alla Sanità informatizzata, alla strategia per l’industria aerospaziale. Perché tutto questo venisse avviato, serviva allora — e servirebbe ancora oggi — un ministro a sedere lì, nel Consiglio dei ministri. Un ministro forte di tutta la struttura tecnica propria di un Dicastero, a partire dal Capo del legislativo e dal Gabinetto. Assetto che invece non ci sarà più.

Oggi l’ipotesi più probabile è che la premier nomini un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, cui trasferire tutte le deleghe in materia digitale. E un semplice sottosegretario, per quanto solido, mancherà del peso e degli strumenti propri di un ministro.

Anche il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin raccoglie un’eredità pesante. E le modalità del suo arrivo al governo alimentano la preoccupazione degli ambientalisti. Dice ad esempio Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club: «Alla vigilia del varo del nuovo governo, quasi nessun giornale indicava un successore per il ministero di Cingolani. E questo mi ha colpito. Le opinioni pubbliche di altri Paesi non avrebbero accettato la cancellazione annunciata della Transizione ecologica. Pensiamo a Spagna o Germania, dove i vicepremier hanno anche la delega al clima». Pichetto Fratin spende parole distensive: su ambiente e digitale — assicura — ci muoveremo nel solco del governo Draghi. Una cosa è certa, però: la sostenibilità dei mezzi di trasporto non sarà il mantra del nuovo ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. La sua prima dichiarazione è stata per rilanciare la costruzione del Ponte di Messina.

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