L’economia circolare 4.0 punta sull’uso incrociato degli scarti

La differenziata cresce ancora Terrosi:”Un grazie ai cittadini”
12 Marzo 2023
Dall’alleanza tra Novacart e Iit arriva l’alternativa alla plastica
11 Marzo 2023
Mostra tutti gli articoli

L’economia circolare 4.0 punta sull’uso incrociato degli scarti

Il Sole 24 Ore

L’economia circolare 4.0 punta sull’uso incrociato degli scarti

Il quadro. L’obiettivo è incentivare la cooperazione fra catene produttive diverse. Il 70% delle aziende ha avviato iniziative di circolarità negli ultimi due anni, ma solo il 7% ha un approccio di simbiosi industriale

Alexis Paparo

Le pratiche di economia circolare sono sempre più diffuse nelle aziende italiane. Il Circularity economy report 2022, elaborato dall’Energy&Strategy della School of management del Politecnico di Milano indica che il 57% delle imprese ha adottato almeno una pratica di economia circolare, dato che nel 2021 era a quota 44 per cento. Ma quanto questi processi e iniziative si svolgono a valle della filiera, o nella parte finale della catena di valore, e quanto invece interessano i processi produttivi e decisionali a monte? Perché è in questo ultimo modo che danno vita a un ecosistema di simbiosi industriale, in cui stabilimenti di filiere differenti interagiscono per massimizzare il riutilizzo di risorse normalmente considerate rifiuti.

Questa economia circolare “avanzata” sarà per la prima volta uno dei focus del Circularity economy report 2023, di cui il Sole 24 del Lunedì anticipa alcuni dati, relativi ai casi di simbiosi mappati in Italia. Sono 31 i casi di cooperazione industriale individuati, che vedono il coinvolgimento complessivo di 83 aziende, sia grandi sia pmi (nella scheda a lato la classifica divisa per settori, in cui spicca l’agroalimentare).

Uno dei casi più virtuosi è in Lombardia e coinvolge quattro entità fra privato e pubblico capaci di interconnettersi, scambiare e ridare valore ai reciproci scarti. Il punto di partenza è l’acqua di raffreddamento che deriva dal processo produttivo dell’acciaio e ha potere termico intrinseco. Una volta recuperata, viene utilizzata da un’azienda di acquicoltura e dai comuni limitrofi. Dopo essersi raffreddata, è nuovamente impiegata da aziende agro-alimentari del territorio. A loro volta, anche i residui dell’acquicoltura vengono utilizzati da altre imprese agricole.

«Si tende a dire che in Italia si faccia tanta economia circolare, quanto in effetti sono alte soprattutto le percentuali di riciclo. Si tratta certamente di un elemento importante, ma l’economia circolare avanzata è quella che riesce a connettere diversi tipi di filiere. Su questo punto in Italia siamo ancora agli albori», spiegano dal team di ricercatori dell’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, guidato da Davide Chiaroni. «Ciò avviene anche per alcuni vincoli di natura normativa, che rendono difficile attuare recuperi di scarti e sottoprodotti che non siano valorizzati energeticamente. Però sta emergendo, con sempre maggiore chiarezza, che dietro a scarti e sottoprodotti, soprattutto della filiera agroalimentare, ci sia molto valore da redistribuire in altre linee produttive come quella tessile, cosmetica, edile, dell’arredo. Oggi sono attive varie sperimentazioni, anche nell’ottica del Pnrr (che stanzia 2,1 miliardi di euro per il settore del riciclo, di cui 600mila per finanziare 192 progetti “faro” per l’economia circolare, ndr), ma non siamo ancora in una fase strutturata. Registriamo difficoltà soprattutto nella connessione di filiere diverse, ma crescono gli esempi virtuosi».

Anche la nuova edizione dello studio annuale Seize the Change di EY rileva l’avanzata dell’economia circolare nelle aziende, e sottolinea che il 50% del campione è riuscito a ridurre la produzione di rifiuti attraverso queste pratiche. «L’Italia è il Paese europeo che più di tutti ha attivato in vari settori sistemi di circolarità. Sicuramente si tratta di un’operatività in crescita, che presenta ampi spazi di miglioramento, ma il dato che lo studio ci restituisce, secondo cui il 70% delle imprese ha avviato iniziative di circolarità negli ultimi due anni, appare positivo ed incoraggiante per il futuro», spiega Riccardo Giovannini, sustainability leader di EY in Italia.

Se si entra nel dettaglio delle iniziative di circolarità, oltre la metà delle aziende le circoscrive ad alcuni processi, prodotti o servizi, e solo il 7% ha un approccio di settore o di territorio che supera il perimetro aziendale. Nel 44% delle aziende l’immediato impatto positivo dell’iniziativa di economia circolare si realizza alla fine della catena di valore, lato consumatore (con prodotti riciclabili o riutilizzabili), ma è interessante che nel 24% dei casi la circolarità si verifichi invece all’interno dell’organizzazione, migliorando i processi aziendali, e nel 19% dei casi ci sia un efficientamento a monte.

Allargando il cerchio dall’Italia al mondo, il Circularity gap report 2023 stima che solo il 7,2% dell’economia globale sia circolare (nel 2018 era il 9,1%). Di questo passo, entro il 2050, l’estrazione di materie prime raddoppierà rispetto ai livelli del 2015. Secondo il team dell’Energy&Strategy però, i dati vanno letti alla luce di due considerazioni. «Per effetto del Covid, negli ultimi due anni abbiamo necessariamente dovuto cambiare abitudini verso tipologie di materiali con un utilizzo più che lineare, dalle mascherine al packaging – e questo potrebbe aver influito. L’altra cosa sulla quale si deve riflettere è che siamo di fronte a una trasformazione del sistema produttivo basato sulle fonti di energia rinnovabile, con conseguenti investimenti impiantistici enormi, connessi a loro volta all’estrazione di materiali. La vera opportunità da cogliere sarà usare questo ciclo di nuovi investimenti per far sì che i materiali siano fin da subito circolari, pronti per essere immessi in maniera virtuosa nel ciclo successivo».

Chiamaci
Raggiungici