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Greenreport

Rifiuti, studio della Bicocca avverte: “In Italia pochi impianti e mal distribuiti”

L’Italia dovrà presentare nei prossimi mesi una pianificazione strategica sia nazionale (PNGR) che regionale (PRGR) per identificare come raggiungere gli obiettivi europei

Se la scarsità di impianti in Italia a servizio della corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti è cosa nota, l’ultimo report del Centro di economia e regolazione dei servizi, dell’industria e del settore pubblico (Cesisp) dell’Università Milano-Bicocca ci conferma che sono anche mal distribuiti. Tanto che nell’ottica Ue dell’economia circolare, c’è il forte rischio che in alcuni territori ci sia una sovracapacità e in altre il deserto impiantistico o quasi.

Il rapporto, incentrato sulla gestione dei rifiuti urbani, dettaglia infatti che “rispetto ai nuovi obiettivi ambientali stabiliti nel nuovo pacchetto di economia circolare al 2035 – 65% di raccolta differenziata e 10% di conferimento in discarica – la situazione regionale italiana presenta un forte circular divide con regioni settentrionali che hanno già raggiunto gli obiettivi comunitari e regioni meridionali che presentano gravi ritardi”.

Il Paese – viene sottolineato nello studio – dovrà presentare nei prossimi mesi una pianificazione strategica sia nazionale (PNGR) che regionale (PRGR) per identificare le linee di azione finalizzate al raggiungimento degli obiettivi europei. Accanto al rafforzamento della raccolta differenziata gli obiettivi di economia circolare rappresentano una sfida importante anche in termini tecnologici e impiantistici relativi alla capacità di trattamento e smaltimento dei rifiuti. Il Centro della Bicocca ha dunque provato a sviluppare in modo semplificato una prima valutazione del fabbisogno impiantistico necessario per raggiungere gli obiettivi europei che abbiamo definito circularcapacity.

Gli autori spiegano che hanno “stimato la circular capacity con due modalità: 1) forte, considerando l’adeguatezza impiantistica dei diversi territori in una logica di totale autosufficienza regionale; 2) debole, stimando l’adeguatezza secondo una logica di benchmark con le regioni più virtuose”.

Ed ecco il quadro che emerge dal rapporto: 1) l’adozione di un concetto di circular capacity in senso stretto, nella programmazione della gestione nazionale e regionale dei rifiuti, rischia di generare delle forti diseconomie di scala nello sviluppo di nuovi impianti. In molti casi potrebbero emergere degli stranded cost paradossalmente nelle regioni attualmente più virtuose; 2) l’adozione di un concetto di circularcapacity in senso esteso, nella programmazione della gestione nazionale e regionale dei rifiuti, consentirebbe di ottimizzare le economie di scala nello sviluppo dei nuovi impianti che potrebbero essere gestiti in modo più efficiente su macroaree regionali.

Secondo il rapporto, una “circular capacity in senso esteso ottenuta su base comparativa consente di traguardare gli obiettivi comunitari al 2035 (65% differenziata, 10% discarica) e promuovere la convergenza di tutte le regioni italiane a quelle più virtuose (performance: 69,93% raccolta differenziata, 6,57% conferimento in discarica) attraverso una programmazione che stimi un incremento potenziale della capacità di trattamento FORSU di circa 1 Mln/Tonnellate e della capacità di termovalorizzazione di circa 2,7 Mln/Tonnellate.”

Ma non è tutto. Per chi chiede a gran voce più impianti di trattamento meccanico, ritenendoli sostitutivi di altre tipologie impiantistiche come i termovalorizzatori, il rapporto spiega che “congiuntamente all’incremento della raccolta differenziata, abbiamo stimato un eccesso di capacità installata in impianti di TMB per quasi 5 milioni di tonnellate qualora si riducesse di 4,5 milioni di tonnellate il conferimento dei rifiuti urbani in discarica (condizione che dalle nostre analisi si verificherebbe se le regioni operassero sulla frontiera di efficienza pari al 6,57% come i best performer)”.

Il nodo però è anche economico: “sulla base di queste prime evidenze si rende necessario considerare sul piano economico un necessario trade-off tra i principi generali per la gestione in prossimità dei rifiuti urbani e quelli di efficienza economica rispetto alla dimensione impiantistica. Con particolare riferimento ad alcune tipologie di impianti (ad esempio i termovalorizzatori) il perimetro di prossimità previsto dall’articolo 182-bis potrebbe essere adeguato ad un perimetro di riferimento a livello di macroarea regionale al fine di garantire maggiori benefici di economie di scala connesse alla dimensione degli impianti. Naturalmente i benefici dovranno essere considerati al netto delle esternalità ambientali connesse alla movimentazione dei rifiuti stessi su distanze maggiori di quelle che si avrebbero con l’adozione di un principio di stretta prossimità”.

In questo contesto, per raggiungere “i risultati delle tre regioni best performer (Lombardia, il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino Alto-Adige, ndr) sarà necessario che le altre regioni riducano complessivamente il conferimento in discarica di circa 4,5 milioni di tonnellate. La riduzione dell’utilizzo della discarica dovrebbe essere controbilanciata da un incremento della capacità di trattamento negli impianti di termovalorizzazione di oltre 2,5 milioni di tonnellate oltre che da un aumento di oltre 1 milione di tonnellate di rifiuti in impianti di trattamento della FORSU. Inoltre, appare opportuna una riflessione sugli impianti TMB che trattano 5 milioni di tonnellate di rifiuti in eccesso rispetto a quanto essi dovrebbero trattare se tutte le regioni operassero sulla frontiera di efficienza identifica”.

E qui si torna a quanto abbiamo scritto nei giorni scorsi. Serve certamente una visione di insieme, ma senza tabù. Gli impianti servono e servono della giusta dimensione. Concentrarli in un’unica regione è sbagliato quanto farne uno a Comune, ma peggio ancora è ritenere che chiusi gli impianti i rifiuti spariscano con loro.

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